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Lady Diana

Un mio ricordo di Lady Diana

Il post di Paola Sacchi, già inviata de L'Unità e di Panorama

Domani notte, nelle prime ore di quella che era una domenica 31 agosto, sarà il ventiduesimo anniversario della morte di Lady Diana, con Dody Al Fayed. L’estate, come adesso, stava finendo, dopo uno sfavillio di vacanze, panfili, tuffi, baci, trasgressioni che avevano fatto inneggiare a Diana, la bellissima principessa triste, la gente comune. Non solo in Inghilterra, ma anche in Italia e nel resto del mondo. Del resto per lei fu scomodata la parola popolo: “Principessa del popolo” la “nominò” Tony Blair che impose di fatto a Buckingham Palace funerali di Stato.

Ricordo un mio amico, uno della gente comune, che nei giorni dello sfavillio della vacanza di Diana e Dodi, nei giorni del bacio abbracciati sul panfilo, mi disse: “Ha fatto bene, brava, dopo averne patite tante!”. Ricordo il pianto e le urla disperate “è morta Diana…”, come fosse stata un’amica, con i quali la mattina del 31 agosto 1997 un gruppo di turiste siciliane nella sala della colazione mi dette la notizia allo Sheraton di Hammamet, dove mi trovavo per intervistare Bettino Craxi.

Nell’ultima estate di Lady D forse un po’ tutti noi avevamo introiettato i nostri desideri di libertà, di benessere, come una ultima forma di spensieratezza in anni che già iniziavano ad esser difficili, più cupi di quegli anni ’80, dominati da Craxi, in cui diventammo una grande potenza industriale ed eravamo rispettati in Europa e nel mondo. E nessun capo straniero, anche il più grande, osava intromettersi nelle nostre crisi politiche interne. Lo schianto nel ponte dell’Alma segnò forse lo stacco definitivo da tutto questo.

Craxi, confinato in esilio ad Hammamet, si fece interprete della gente comune quando verso l’una del pomeriggio (lui scriveva, lavorava fino all’alba e quindi si svegliava poi tardi) gli telefonai dallo Sheraton. Volevo salutarlo prima di ripartire il giorno dopo per l’Italia e soprattutto ringraziarlo per il dono delle sue litografie fattemi recapitare la sera prima in hotel dall’autista factotum Marcello. Volevo soprattutto ringraziarlo del dono di avermi ricevuta e dei vari colloqui avuti con lui (Riportati nel mio libro I conti con Craxi, con prefazione di Stefania Craxi, MaleEdizioni) in quelle due settimane trascorse ad Hammamet. “Presidente, domani parto, grazie…”. Non mi fece neppure finire e mi chiese di scatto: “Ma si è capita la dinamica dell’incidente?”.

Lui aveva appena appreso la notizia. Io riferii quello che avevo sentito dai telegiornali. Ci fu una pausa, di quelle craxiane, che sebbene fossero di qualche istante sembravano interminabili. Poi disse solo, addolorato e affettuoso riferendosi a Lady D che aveva ricevuto da presidente del Consiglio :” Povera figlia…”. Non si espresse come un leader politico, uno statista seppur cacciato dallo stesso Paese che aveva guidato, ma come un padre, un amico, un uomo del popolo in sintonia con il dolore della gente comune. Anche se a lui il termine gente non piaceva affatto, lo riteneva qualunquistico e preferiva, appunto, chiamarla popolo.

L’ultima estate di Lady D sarebbe stata la sua terz’ultima. Forse Craxi vide in quella fine chissà il presagio della sua di fine. Ma soprattutto, nei colloqui avuti con lui in quei giorni e poi nelle altre due estati successive, era la fine del suo e nostro Paese che lo assillava. Un’Italia che lui già vedeva destinata “ad esser declassata dalle grandi potenze straniere, terziarizzata, in miseria, con le sue industrie di Stato svendute pezzo per pezzo…”.

L’estate del 1997 stava finendo con la morte di Lady D, l’estate sta finendo anche ora. E ventidue anni dopo, di fronte al caos italiano, le fosche profezie di Craxi si sono purtroppo tutte avverate.

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