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Polonia

Esercito Ue? Impossibile. E l’America non lo vuole. L’analisi di Fabbri (Limes)

Gli sviluppi in Afghanistan. Le convergenze parallele Usa e talebani anti Isis. E lo scenario di un esercito europeo. L'analisi di Dario Fabbri (Limes)

Gli Stati Uniti hanno completato il ritiro dall’Afghanistan dopo 20 anni di guerra. “Sono qui per annunciare la conclusione del nostro ritiro dall’Afghanistan e la fine della missione per evacuare cittadini statunitensi, cittadini di altri paesi e afghani a rischio – ha annunciato in conferenza stampa il generale Kenneth ‘Frank’ McKenzie, numero 1 dell’US Central Command -. L’ultimo C -17 è decollato dall’aeroporto internazionale Hamid Karzai alle 15.29 del 30 agosto, orario della costa orientale degli Stati Uniti”. Ciò significa anche non ci saranno altre evacuazioni di civili. 

La transizione lunga e drammatica 

L’Afghanistan ora vivrà la vera fase di transizione, che si annuncia essere lunga e drammatica. A dimostrazione delle difficoltà talebane nel controllare tutto il territorio afghano “gli Stati Uniti hanno realizzato alcuni attacchi attraverso droni contro attori che partecipano allo Stato Islamico locale”, ha ricordato l’analista di Limes Dario Fabbri nel corso della trasmissione Omnibus, su La7. “Per l’Afghanistan la transizione continua, i talebani sono chiamati a consolidare il loro potere – ha continuato Fabbri -. Dico “sono chiamati” perché sono stati investiti di questo ruolo”. 

Le collaborazioni tra Usa e talebani 

Per quanto possa sembrare di difficile comprensione lo scenario in cui i talebani tornano al potere in Afghanistan è stato orchestrato proprio dai “nemici” Usa. Washington ha scelto gli studenti coranici tra i tanti attori che vorrebbero prendere Kabul. “Talebani e americani condividono intelligence – ha aggiunto Fabbri – si scambiano informazioni perché hanno il nemico comune dello Stato Islamico. I talebani sono diventati, tra mille virgolette, i “buoni” a fronte di altri che fanno i cattivi”. 

Afghanistan terra di clan e tribù 

L’Afghanistan non è una nazione, è un territorio nel quale sono presenti tanti gruppi etnici diversi in un contesto tribale in cui a gestire le affiliazioni e il “consenso” sono i clan. “I talebani rappresentano soprattutto l’etnia Pashtun che è un gruppo iranico, una popolazione indoeuropea – spiega l’analista di Limes -, ci sono altri gruppi interni al paese come i Tagiki, un gruppo etnico originario dell’Asia centrale, dell’Iran. I Tagiki sarebbero stati l’unica resistenza a nord ma sono stati piegati dai talebani. Anche perché, a differenza dei talebani, non hanno appoggi esterni”. 

Il rischio di una guerra civile 

Il rischio è che la resistenza dei gruppi etnici diversi dai talebani porti il paese alla guerra civile e poi al collasso. I talebani appartengono all’etnia Pashtun. “L’elemento tribale pashtun non guarda con amore ai talebani. Gli studenti islamici hanno un approccio troppo intransigente alle cose della società – dice Dario Fabbri nello speciale di “Mappa Mundi” sull’attentato a Kabul -. Tale approccio non è accettato dai leader tribali. Allo stesso tempo, però, se i capi tribù pashtun sono chiamati a scegliere tra un governo filo americano, tagiko o i talebano, i capi tribù scelgono sempre i talebani, perché sono pashtun come loro”.

Gli appoggi esterni dei talebani 

La frammentarietà, la scarsa omogeneità etnica e la presenza di più attori che desiderano prendere il potere a Kabul delineano uno scenario per il quale è facile aspettarsi un esisto nefasto. “La possibilità che l’Afghanistan colassi in una guerra civile è lo scenario più preoccupante e anche più realistico – sottolinea Fabbri su La7 -. I talebani hanno dalla loro la volontà delle potenze esterne. Tutti hanno scelto i talebani, dagli americani in giù. I cinesi hanno stretto accordi con loro. I turchi neanche a dirlo, addirittura vorrebbero gestire insieme al Qatar l’aeroporto di Kabul. Da ultimo ci sono i russi che hanno grande interesse che il paese non collassi e che lavorano con i talebani”. 

Gli interessi americani in Pakistan 

Gli americani, a differenza dei vicini di casa russi, potrebbero trarre dei benefici dal caos afghano. “Il loro interesse è che il caos afghano si trasformi in pakistano, perché il Pakistan rappresenta uno snodo cruciale sulle nuove vie della seta, ed il porto di Gwadar è uno dei modi che la Cina si immagina per evitare lo stretto di Malacca controllato dagli americani – dice Fabbri in un’intervista a TPI -. Se il caos toccasse quel porto a causa dei talebani agli americani non dispiacerebbe per niente”. 

Il ruolo dell’Europa 

Anche nel contesto afghano la posizione dell’Europa non è stata definita in maniera univoca. Proprio per questo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da Ventotene, è intervenuto sulla necessità di una difesa comune in ambito europeo. Gli ha fatto eco l’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune Josep Borrell che in un’intervista al Corriere della Sera ha detto: “Dovremmo essere in grado di muoverci anche da soli. Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato”.   

La difesa comune europea 

Quello della difesa comune europea è uno dei pilastri mai realizzati della costruzione europea. “Costruire le forze armate vuol dire morire, perché in guerra, e questo non è chiarissimo attraverso i videogiochi, ma si muore – precisa Fabbri -. E si muore per qualcun altro solo per sentimento. Un lituano che muore per uno spagnolo non esiste. Un italiano medio che vuole morire per un finlandese io non l’ho mai visto. Si ha la sensazione che fare le forze armate voglia dire andare a fare operazioni di pace in cui si spara come nei videogiochi e poi quando ci si trova in difficoltà ci si comunica in inglese. La vita reale non è questa. La nazione non si costruisce in questa maniera, è puro sentimento. Spesso il sentimento viene dopo l’imposizione di qualcuno su qualcun altro. Tutte le nazioni sono nate così, c’è un nucleo centrale che si impone agli altri. E poi le forze armate europee chi le comanda? Chi ci sta a essere comandato da un’altra nazionalità davanti a persone che ti sparano?”. 

La contrarietà americana all’esercito unico europeo 

A contrastare la realizzazione di un esercito unico europeo anche gli interessi degli Stati Uniti. “Gli americani non vogliono in nessun modo un esercito europeo a meno che non si voglia fare in una forma cosmetica in cui lo mandiamo a fare le parate, diamo le bandierine – conclude Fabbri -. E poi quando facciamo la guerra facciamo le cose serie, e lo facciamo scomparire. Altrimenti dobbiamo fare guerra agli americani. Se si dovessero fare forze armate europee reali bisogna fare la guerra agli americani. Dunque in bocca al lupo”.

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