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Tutto sulle spese militari nella Nato e il caso dell’Italia

Che cosa emerge dall'ultimo aggiornamento della Nato sul livello di spesa militare dei Paesi che fanno parte dell'Alleanza atlantica. L'approfondimento di Giovanni Martinelli

 

Nella giornata del 7 luglio, la NATO ha reso noto il proprio ultimo aggiornamento sul livello di spesa militare dei Paesi facenti parte dell’Alleanza Atlantica stessa. Una mossa evidentemente  finalizzata a fornire un quadro puntuale della situazione in vista del suo vertice dei Capi di Stato e di Governo che si terrà a Vilnius l’11 e il 12 luglio prossimo.

Un vertice quest’ultimo che definire di grande importanza appare perfino riduttivo, non solo perché (evidentemente) si tiene in un momento storico eccezionale, a causa dell’invasione Russa dell’Ucraina iniziata ormai quasi un anno e mezzo fa. Di più, la sua importanza è anche determinata dal fatto che in quella sede ci sarà anche la conferma ufficiale della ulteriore proroga nella carica di Segretario Generale per Jens Stoltenberg.

Ma non è tutto, perché sul tavolo sarà presente il dossier legato alla richiesta di adesione della Svezia alla stessa NATO (a oggi ancora bloccata da Turchia e Ungheria) e, sempre in tema di adesioni, inevitabilmente molto dibattuta sarà quella dell’Ucraina. Oggi impossibile a causa del conflitto in corso, Kiev con ogni probabilità punterà  sull’ottenimento comunque di forti garanzie di sicurezza internazionali (con annessi nuovi aiuti militari), nell’attesa che maturino le condizioni per un futuro ingresso nell’Alleanza.

Altrettanto inevitabilmente, saranno affrontati anche i piani di difesa della organizzazione e quelli di sviluppo degli strumenti di deterrenza/dissuasione che a essa fanno riferimento. Ed è proprio in questo ambito che svilupperà un ulteriore dibattito; proprio quello sulle spese militari.

Come noto infatti, nel vertice NATO tenutosi in Galles nel settembre del 2014, l’Alleanza fissò un serie di “paletti” molto precisi; dopo anni di tagli sempre più pesanti ai bilanci della Difesa di molti Paesi, tutti i membri della NATO stessa furono invitati a intraprendere invece un percorso di loro crescita in termini reali allo scopo di raggiungere almeno il 2% del rapporto tra le spese militari medesime e il PIL nell’arco di 10 anni.

Il fatto che quella scadenza sia ormai prossima e, soprattutto, le maggiori esigenze scaturite dalla guerra ancora in corso fanno sì che questo tema sia diventato centrale nel dibattito all’interno dei singoli Paesi e della Alleanza stessa. Tanto che si fanno sempre più forti le voci che vorrebbero una sorta di ridefinizione di quel parametro. Ovvero, il 2% non dovrebbe essere più visto come un “tetto” ma come un “punto di partenza” per livelli di spesa in prospettiva ancora più elevati. Di più, secondo alcune indiscrezioni della vigilia, si potrebbe addirittura arrivare alla elaborazione di formule che rendano il raggiungimento di quel 2% un passaggio vincolante per tutti e non più una sorta di semplice invito.

Ecco dunque che i dati appena pubblicati, forniscono un utile riferimento per il prosieguo della riflessione. A livello generale si osserva che quel vertice del 2014 (oltre a quelli successivi) di effetti ne ha avuti; e anche importanti. Il 2023 segna infatti il 9° aumento consecutivo della spesa militare complessiva di tutti gli Stati membri della NATO; la quale in termini reali passa così dai 910 miliardi dollari del 2014 ai 1.100 di quest’anno.

Significativo anche il dato sul “famoso” obiettivo del 2%. Nel 2014 erano appena 3 i Paesi a raggiungerlo già; questo mentre nel 2023 saliranno a 11. Ma non è tutto, perchè molti altri hanno comunque predisposto dei piani che nel giro di pochi anni li porteranno a conseguire questo stesso risultato. 

Dato assolutamente significativo e rilevante, il 2023 certifica la prepotente ascesa della Polonia che con il suo 3,9 % diventa il Paese con la più alta spesa militare in termini relativi tra tutti i 31 membri della NATO. E più in generale, al di là della conferma di Paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Grecia quali “top spender” praticamente storici, la comparsa in forza di molti Paesi dell’Est Europa (oltre che della stessa “new entry” Finlandia) in questa specie di club sempre meno ristretto.

Non occorre dunque essere particolarmente esperti o abili nelle analisi strategiche/geopolitiche per capire che qui la geografia gioca un ruolo determinante; più si è vicini alla Russia, più si sente il peso della sua minaccia, più si fa sul serio nel processo di riarmo.

Dati tanto interessanti quanto poco incoraggianti giungono infine dall’Italia. Per quanto riguarda infatti il nostro Paese si evidenzia sì l’aumento delle proprie spese militari, avvenuto nel corso sopratutto degli ultimi anni (anche se, in parte, “viziato” da alcuni fattori di cui parleremo a breve); al tempo stesso però non si può negare che esse rimangano sempre comunque lontane da quel “famoso” 2%.

Anzi, addirittura il 2023 regista un lieve arretramento rispetto all’anno scorso; dato che il rapporto percentuale tra tali spese e il PIL passa dall’1,51 all’1,46% del PIL (cosicché alla fine, solo altri 6 Paesi fanno peggio di noi nella NATO!). Una correzione apparentemente modesta ma che in realtà costituisce un segnale molto preoccupante.

Da un punto di vista teorico infatti, il nostro stesso Paese (già con un certo ritardo rispetto alle scadenze fissate e sottoscritte nel 2014) avrebbe fissato nel 2028 il momento in cui raggiungere quel “fatidico” 2%. E’ invece evidente che quell’obiettivo appaia sempre più un “miraggio”; anche perché a oggi il Governo non ha comunque elaborato alcun piano capace di restituire un precorso credibile per il suo raggiungimento.

In tutto questo, un altro elemento preoccupante; non solo l’aumento delle spese militari conseguito dall’Italia è da addebitare in parte all’inclusione di una voce prima esclusa (ovvero, i fondi dell’attuale Ministero delle Imprese e del Made in Italy; fondi destinati all’investimento): di più, a partire dal 2020 si è registrata una anomala impennata nelle cifre fornite dal nostro Paese alla NATO e da quest’ultima divulgate.

Detto in altri termini, anche i 29.718 milioni di € riportati nelle tabelle fornite dall’Alleanza per questo 2023 non riescono a trovare alcun riscontro nella realtà; pur considerando che il perimetro di spesa militare definito a Bruxelles è più ampio di quello generalmente documentato dal nostro Paese. Per essere ancora più chiari, in assenza di informazioni più puntuali fornite dal Ministero della Difesa sulla formazione di queste cifre, il sospetto che qualcosa non torni è molto forte; spetterà dunque allo stesso Ministero diradare dubbi e opacità, fornendo spiegazioni più accurate.

Se poi non bastasse, questo quadro già particolarmente scoraggiante (in termini di crescente distanza dagli obiettivi prefissati e in termini di trasparenza) è reso ancora più “imbarazzante” dal conseguimento di un ben poco lusinghiero primato: l’Italia diventa infatti il Paese con la più alta percentuale delle proprie spese militari impegnate alla sola voce del Personale. Una anomalia evidenziata più e più volte, legata in particolare a scelte mancate (a volte perfino sbagliate) da parte della politica; tali da creare una serie di problemi crescenti e sempre più gravi.

In conclusione, non si può non evidenziare come a fronte di una Europa che attraversata dallo shock rappresentato dall’invasione russa dell’Ucraina nel suo complesso sembra aver metabolizzato il cambiamento epocale nel campo della Difesa (comportandosi di conseguenza, pur fra indecisioni e limiti di varia natura), il nostro Paese sembri invece aver già superato quella fase di shock in maniera decisamente meno lucida e razionale. Ovvero, facendo semplicemente finta di nulla; o quasi…

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