Da diversi giorni i redattori de Il Messaggero non firmano gli articoli che vengono pubblicati. E’ una forma di protesta contro il licenziamento improvviso, dopo appena un mese dalla nomina, del direttore Alessandro Barbano. Pare che all’editore non fosse piaciuto l’editoriale pubblicato la mattina stessa perché critico con la maggioranza. Si può intravedere un caso di censura in questo blitz dell’editore? Oppure dobbiamo ritenere che i proprietari di un gruppo editoriale possono agire come credono giusto perché sono ‘’padroni in casa loro’’?
Non conosco il seguito di questa vicenda. Se ci sono degli inadempimenti contrattuali lo deciderà – se adita – la magistratura. Essendo però il fatto eclatante e non estraneo al tema della libertà dell’informazione, penso che sia consentito esprimere delle opinioni in merito. Confesso innanzi tutto che mi sarei aspettato un maggior numero di commenti critici e di gesti di solidarietà nei confronti di Barbano, soprattutto dopo il putiferio scatenato sulla ‘’censura’’ ad Antonio Scurati.
Il fatto è noto. Per la Festa della Liberazione la Rai aveva commissionato allo scrittore una testimonianza di qualche minuto da leggere in diretta per dare un significato alla ricorrenza del 25 aprile 1945, quando il CNL aveva proclamato l’insurrezione contro il nazifascismo. Scurati aveva scelto di ricordare l’assassinio del deputato socialista riformista Giacomo Matteotti, nel 1924, per mano di commando di sgherri fascisti per ordine di Mussolini stesso. Il discorsetto non era un granché; lo scrittore non si era sforzato molto. Chi ha letto il suo ultimo saggio su ‘’fascismo e democrazia’’ si sarà senz’altro accorto che Scurati aveva copiato da se stesso, in particolare con riguardo al severo commento della ritrosia di Giorgia Meloni a pronunciare quella parola magica, ‘’anfifascismo’’, senza la quale continuano ad esserle precluse sia la catarsi che la redenzione.
Il brusco invito rivolto alla premier non era piaciuto a qualche zelante burocrate di Telemeloni (si chiama così adesso la Rai?), il quale, con il pretesto pietoso di qualche centinaio di euro di troppo, aveva oscurato Scurati provocando a stretto giro di posta uno sturbo di indignazione alla conduttrice della rubrica. Serena Bortone, infatti, era stata la prima a ribellarsi e a dare lettura allo scritto censurato. Era poi scoppiato il caso che ha requisito il dibattito politico per almeno una decina di giorni. Scurati fu invitato a leggere – bello come un Apollo – la sua paginetta dal palco della manifestazione di Milano del 25 aprile. La stessa rappresentazione è avvenuta in migliaia di consigli comunali e di raduni in quel medesimo giorno, in quelli precedenti o immediatamente successivi, fino a quando le cronache hanno concentrato la loro attenzione sulle perfomance del generale Roberto Vannacci, passando, così, dalla tragedia alla farsa.
La redazione del quotidiano ha reagito bene. In pochi del jet set mediatico, invece, hanno espresso solidarietà e condannato la censura. Forse sarebbe stato il caso che i conduttori già prodigatisi a biasimare – giustamente, si intende – la vicenda Scurati incaricando chiunque passasse per gli studi ad aggiungersi alla maratona dei lettori indignati, si fossero presi la briga di declamare in diretta dalle loro fumerie d’oppio televisive, l’editoriale che era costato ad Alessandro Barbano il posto di lavoro.