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Tutti i subbugli sottotraccia nella maggioranza di governo

Che cosa succede nella maggioranza che sostiene il governo Draghi?

Come era ampiamente prevedibile, la stampa mainstream lo ha interpretato come un “alto là” al pressing di Matteo Salvini. Ma se Mario Draghi ha difeso, come era persino ovvio per le leggi della politica, il ministro del suo governo Roberto Speranza – una difesa scontata tanto più sull’onda di una domanda un po’ ad arte del Fatto quotidiano – al tempo stesso il premier ha affermato, nella recente conferenza stampa, quello che Salvini voleva sentir dire: le riaperture sono “il vero sostegno” all’economia. Draghi quindi non ci sta a farsi mettere in “zona rossa”, se vogliamo applicare alla politica una metafora riferita al metodo della colorazione anti-Covid per le regioni. Non ci sta naturalmente neppure ad essere inserito in “zona verde” o “blu” leghista, riaffermando totalmente la sua autonomia e la mancanza di “identità politica” con la quale il governo di emergenza nazionale è nato con un mandato su tre punti precisi. Ma, comunque la si metta, è un fatto che a due mesi circa dalla nascita dell’esecutivo il Pd e la ex maggioranza giallo-rossa oggettivamente sconfitta dopo essere rimasti spiazzati dalla scelta di Salvini di entrare nel governo, ora cerchino in tutti i modi di recuperare il tempo perduto e diventarne l’architrave. Ruolo che agli occhi dell’opinione pubblica ha da subito occupato la Lega. Anche nella stessa iconografia.

Molto simbolica l’immagine del ministro Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, in ottimi rapporti da anni con il premier, seduto alla destra dell’ex presidente della Bce in parlamento per tutta la giornata di insediamento del governo. E sostituito solo a sera, in Senato, da Luigi Di Maio, con fare un po’ apprensivo. Una vicinanza tra la Lega e Draghi confermatasi anche sui contenuti, non solo sulla centralità delle riaperture, seppur ancora senza la fatidica data che la Lega avrebbe voluto avere, ma anche sull’uso del Golden power già applicato in un caso dal ministro leghista dello Sviluppo economico a difesa dalle mire cinesi sulle nostre aziende. Scelte che segnano un’inversione ad U rispetto alla politica del governo giallo-rosso. Insomma, la musica sembra decisamente cambiata rispetto ai tempi della Via della Seta.

Sotto la tregua siglata da Enrico Letta e Matteo Salvini, per il bene del governo Draghi e quindi del Paese, è ovvio che ora prosegua la sotterranea sfida lanciata dal neosegretario del Pd alla Lega con l’ambizione di promuovere il suo partito al ruolo di architrave dell’esecutivo di emergenza nazionale. Comunque si pensi, quella del Pd e della sinistra più che una vittoria appare una rincorsa a cercare di conquistare un ruolo di centralità perduto.

Resta il fatto che Letta però rispetto a Salvini si trova ad avere a che fare con un oggettivo svantaggio. E cioè quello di dover trovare ora sul piano della strategia politica del suo partito la quadra con alleati come il probabile futuro capo dei Cinque Stelle “rinnovati”, ovvero Giuseppe Conte, che fu il premier proprio di quel governo ai cui “ritardi” ora Draghi deve rimediare. Un’alleanza, insomma, che rischia di esser scomoda se si intende dare un’immagine di rinnovamento, un’alleanza sulla quale non a caso è piombato il secco e deciso no di Matteo Renzi.

La tregua con Salvini, in un’offensiva, che, stando ai fatti, aveva unilateralmente ingaggiato un po’ a freddo Letta appena eletto segretario, probabilmente è stata siglata anche in nome di quello che appare come l’unico vero punto politico sul quale i due leader sono d’accordo. E cioè la preferenza per il maggioritario rispetto al proporzionale. Cosa che, nelle intenzioni di Letta, si congegna al suo disegno di un nuovo Ulivo con la leadership però del Pd. E simmetricamente il maggioritario è necessario a Salvini per ribadire la leadership del centrodestra, che gli contende Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, rimasta all’opposizione.

In questa sfida sotterranea, che si consuma su chi è il vero architrave politico del governo Draghi, però restano sullo sfondo due attori politici, che ora sembrano tagliati fuori dal bipolarismo Letta-Salvini e cioè Forza Italia e Italia Viva di Renzi. Ma intanto più che un alto là a Salvini, che, comunque, stando ai numeri reali delle consultazioni svoltesi dopo le politiche del 2018 e ai sondaggi, resta il primo partito italiano, l’ultima settimana sembra aver segnato anche una sconfitta di desideri inconfessati a sinistra di sospingere la Lega verso un “Papeete 2”. O anche quelli di metter Draghi in “zona rossa”. Perché la sua resta “zona” non colorabile.

In ogni caso, scelte di politica estera come la visita in Libia e il disegno di riaffermare la centralità dell’Italia nel Mediterraneo oggettivamente ricordano molto la politica estera dell’ex premier Silvio Berlusconi e dei suoi governi. E aprono una nuova fase rispetto all’ ex governo giallo-rosso, seppur il ministro degli Esteri sia sempre il pentastellato Di Maio.

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