La vita per i leader del partito Conservatore non è mai stata facile. Non lo è stata per i premier di secondo piano (Major, May) e non lo è per Boris Johnson, reduce da una vittoria elettorale roboante, confermata poco meno di un mese fa dal trionfo alle amministrative.
I dossier sul tavolo del premier sono innumerevoli: la riapertura del 21 giugno è in dubbio per via della diffusione della variante indiana del Covid; Scozia e Ulster sono delle bombe pronte a esplodere con il rischio di disintegrare il Regno Unito; e gli accordi con Bruxelles sulla Brexit devono essere ancora digeriti in pieno dal mondo del business britannico. In più, all’interno del suo partito, è in atto da tempo la guerra sui tagli al budget della cooperazione internazionale.
Oggi pomeriggio alla Camera dei Comuni inizierà la discussione sull’Advanced Research and Invention Agency (ARIA) Bill, un disegno di legge che prevede la creazione di una nuova agenzia che avrà il compito di occuparsi di politiche innovative. I ribelli del partito Tory vorrebbero mettere ai voti un emendamento che costringerebbe il governo a riportare allo 0,7% del Pil la quota di finanziamento per la cooperazione internazionale, tagliata nel budget dello scorso anno allo 0,5% dal Cancelliere Sunak, in accordo con il ministro degli Esteri Raab e lo stesso premier Johnson. Il taglio significa in pratica 4 miliardi di sterline in meno alle nazioni bisognose.
Per quest’ultimo, la speranza è che lo speaker della Camera, Sir Lindsay Hoyle decida di non mettere al voto l’amendment, giudicandolo fuori dal contesto normativo in discussione. Johnson, comunque, farebbe meglio a stare in campana come si suol dire: i “ribelli” Tory – i media li quantificano in 30 MPs – non sono pesi piuma all’interno del partito: a guidarli è l’ex Minister per la cooperazione internazionale con il governo Cameron, Andrew Mitchell, che, sulle pagine del Guardian, ha affermato che “lo UK è l’unico paese del G7 che ha ridotto gli aiuti ai paesi più poveri in questi anni”. Lo stesso Cameron in passato si era espresso contro questa riduzione, insieme agli ex premier laburisti Brown e Blair: quando era al governo l’ex leader Tory mantenne lo 0,7% nonostante i pesanti tagli apportati dal suo esecutivo durante l’epoca dell’austerity. Per molti a Westminster il ridimensionamento degli aiuti, e l’accorpamento del ministero per la cooperazione al Foreign Office, rappresentano una diminuzione del ruolo internazionale del Regno Unito, proprio nel momento in cui Johnson sta lanciando la sua Global Britain.
Accanto a Mitchell, Cameron, Brown, Blair ci sono anche Theresa May, il suo ex vice, Damian Green, l’ex ministro per il Galles, Stephen Crabb, e l’ex sottosegretario alla Difesa – dimessosi di recente – Johnny Mercer. Una lista di scontenti che potrebbe mandare sotto il Governo ai Comuni, creando non pochi imbarazzi a Johnson. E chissà se la notizia di una eventuale candidatura di May – ormai semplice deputata di Maidenhead – alla guida della Nato non sia l’ennesimo coup de théatre di Johnson per sistemare le beghe interne.
Sulla vicenda sono intervenuti anche il Segretario Generale dell’Onu, Guterres e le charity britanniche come Oxfam, Save The Children e ActionAidUk, che hanno scritto una lettera aperta al premier invitandolo a ripensarci. Per l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, i tagli agli aiuti sono “indifendibili”. Ora non resta che da vedere come Johnson cercherà di uscire dall’angolo: conoscendo il Primo Ministro non è escluso che estragga, all’improvviso, l’ennesimo coniglio dal cilindro.