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America

Tutte le vere sfide (non solo per Trump) alle elezioni di metà mandato

L'articolo di Stefano Graziosi sul voto in Usa del 6 novembre

In un clima politico pestilenziale, gli Stati Uniti si preparano al voto. Il prossimo 6 novembre si terranno difatti le elezioni di metà mandato. Elezioni, sul cui esito aleggia un senso di profonda incertezza.

A prima vista, il Partito Democratico sembrerebbe essere avvantaggiato. I sondaggi danno attualmente l’Asinello avanti del 7% sui rivali repubblicani e, storicamente, nelle midterm è di solito il partito che detiene la Casa Bianca ad essere sfavorito. Ai tempi della presidenza di Bill Clinton, i democratici persero le midterm del 1994 e del 1998, George W. Bush vide i repubblicani soccombere nel 2006, mentre l’Asinello di Barack Obama venne sconfitto nel 2014.

Inoltre, soprattutto per quanto riguarda il Senato, alcuni seggi considerati blindati dai repubblicani, si sono rivelati in realtà contendibili: il caso più eclatante è certamente quello del Texas, Stato storicamente conservatore in cui il senatore repubblicano, Ted Cruz, sta incontrando delle spinose difficoltà nell’affrontare lo sfidante democratico Beto O’ Rourke.

Al momento, l’esito più probabile di queste consultazioni sembrerebbe essere un pareggio: i democratici dovrebbero conquistare la Camera dei Rappresentanti, mentre è plausibile che – nonostante alcune difficoltà – i repubblicani riescano a mantenere il controllo del Senato (dove devono difendere un esiguo numero di seggi). Un risultato simile, insomma, a quello delle midterm del 2010 (per quanto a parti invertite). Del resto, a riprova di questo stato di cose, ci sarebbe il fatto che – secondo il sito Axios – il presidente starebbe effettuando in questi giorni un tour di comizi elettorali con il primario obiettivo di mantenere (e possibilmente allargare) la maggioranza repubblicana del solo Senato. Quasi a voler tacitamente ammettere che una sconfitta alla Camera per l’elefantino sia ormai inevitabile.

È dunque chiaro che, in preda a una certa euforia, l’Asinello stia cercando di trasformare le elezioni del prossimo novembre in un vero e proprio referendum sulla presidenza Trump.

Eppure bisogna fare attenzione ai giudizi prematuri. Per quanto apparentemente in grande spolvero, anche i democratici hanno difatti i loro problemi. Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che, attualmente, l’economia statunitense registri buoni risultati: un elemento che rafforza tradizionalmente il partito di governo. Inoltre, va rilevato che il Partito Democratico americano sia da alcuni anni caratterizzato da feroci lotte intestine tra centristi e radicali: lotte che nascono dallo scontro per il controllo del partito e dall’aspra dialettica che si verifica su determinate questioni programmatiche (come, per esempio, la riforma della sanità).

Probabilmente è proprio per far fronte a questo caos interno che, nelle ultime settimane, l’Asinello ha scelto di adottare una strategia politico-elettorale particolarmente aggressiva. Una strategia che rischia di portare tuttavia il partito su posizioni settarie e che potrebbe quindi rivelarsi non poco controproducente, alienandogli le simpatie degli elettori indecisi.

Ma non è tutto: sullo sfondo si percepisce anche un problema più strutturale. Derubricare infatti le elezioni di midterm a mero referendum sul presidente è forse un po’ troppo semplicistico. Certo: non mancherà chi voterà, guardando alla Casa Bianca. Ma non dobbiamo trascurare che, soprattutto al Senato, l’elettore americano voti sulla base di dinamiche territoriali e locali, che ben poco hanno a che vedere con lo studio ovale. Pensiamo solo al fatto che, a novembre del 2016, in Ohio Trump vinse le presidenziali, mentre contemporaneamente al Senato fu rieletto il repubblicano Rob Portman (che del magnate newyorchese era sempre stato un aspro critico).

Se non è detto quindi che, alle midterm, l’elettore guardi troppo alla politica di Washington, non va comunque sottaciuto che Trump, con queste elezioni, si giochi molto. Non solo perchè, qualora riuscissero a conquistare la Camera, i democratici potrebbero avviare un processo di impeachment ai suoi danni. Ma anche perchè, in una simile eventualità, l’Asinello farebbe di tutto per mettere i bastoni tra le ruote alle politiche del presidente. Tuttavia non bisogna cedere agli automatismi. Contrariamente a quanto spesso si dice, Trump è una figura politicamente trasversale: una figura che include nel suo programma svariati elementi storicamente vicini alla tradizione della sinistra americana (dal commercio alle infrastrutture). Ragion per cui, l’ipotesi di una collaborazione tra Trump e l’Asinello è tutt’altro che da scartare. Una collaborazione che metterebbe all’angolo i repubblicani più ortodossi. Quei repubblicani, insomma, che questo presidente non lo hanno mai veramente digerito.

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