Niente crisi di governo, che, come aveva ammonito Enrico Letta, pur non nominando Giuseppe Conte (cosa che gli ha rimproverato l’altra sera Carlo Calenda) avrebbe “sbigottito il mondo intero”, ma è guerriglia nella maggioranza. Tra l’ex premier, leader pentastellato e l’alleato Pd. Il caso, che restringe il “campo largo” con la stella polare atlantista di Letta, non sembra destinato a esaurirsi con il voto del Senato a favore del decreto Ucraina, dopo la mediazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini e del Pd (raggiungimento del 2 per cento delle spese militari nel 2028, diluito di 4 anni).
Conte rilancia: “Non saremo la succursale del Pd”. E prendono sempre più corpo certi fantasmi che fanno dire a qualche parlamentare Pd: “Il punto è che Conte, alla guida di un movimento in difficoltà, che rischiano di essere certificate dalle Amministrative, si è messo in testa di rubare voti a noi, andando a pescare nelle nostre aree meno convinte della linea fermamente atlantista di Letta e nelle contraddizioni di quelle di Leu”.
Qualcuno, come il deputato Pd, ex presidente del partito, Matteo Orfini, parla chiaramente del rischio di “perdere la pazienza” con l’alleato principale. Che però ha sempre goduto di un forte legame con aree Pd come quella dell’ex segretario Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini. Insomma, le contraddizioni dello schieramento del centrosinistra emergono tutte di colpo su un tema principe come la politica estera. E questo avviene mentre il centrosinistra, preso in contropiede dall’offensiva di Conte anche contro lo stesso premier Mario Draghi, di cui non ha mai gradito la successione alla guida del governo, sembrava scommettere ormai sulla sua “superiorità” atlantista rispetto a un centrodestra da schiacciare sulla sbiadita t-shirt di Matteo Salvini sulla Piazza Rossa. Elogiando, invece, l’atlantismo di Giorgia Meloni, con l’intento di staccare sempre più la presidente di FdI dagli alleati del centrodestra di governo.
Ma il centrodestra di governo ( Forza Italia e Lega) non è stato l’attore che ha fatto fibrillare il governo, quella parte l’ha svolta invece Conte, l’alleato strategico del Pd. E Fratelli d’Italia di Meloni, forza di opposizione, pur confermando la sua linea fermamente atlantista nell’ordine del giorno accolto dal governo e non messo in votazione, come deciso l’altro ieri tra le ire pentastellate poi ricomposte con la mediazione finale, non ha per ovvie ragioni votato a favore, a differenza del consenso che aveva dato alla Camera, del decreto Ucraina, poiché il governo ha dovuto mettere la fiducia.
Si increspa la narrazione del nuovo bipolarismo Letta-Meloni. E Silvio Berlusconi, criticato per il suo silenzio, si inserisce, rimarcando la soddisfazione per l’approvazione del decreto Ucraina. “Stanzia le risorse necessarie per l’accoglienza e la gestione dei profughi, per la tenuta del sistema energetico nazionale, con ricadute su imprese e famiglie”, afferma il Cav in una nota. E sottolinea l’importanza del decreto “per adempiere ai compiti rafforzati in sede NATO, aprendo la strada verso il necessario coordinamento delle spese militari e quella difesa comune che io da vent’anni sostengo essere indispensabile, così come un’unica politica estera, per l’Unione Europea”. È proprio sull’aspetto più indigesto per il leader dei Cinquestelle, e che però neppure Letta può esaltare più di tanto per non indispettire l’alleato, che Berlusconi non a caso inserisce il suo europeismo e atlantismo.