skip to Main Content

Perché Trump va a caccia di compratori per i T-Bond

L'articolo di Francesco Bertolino

Il debito federale americano ha raggiunto ad agosto il massimo storico di 21.500 miliardi di dollari. Una cifra stratosferica, circa 10 volte il passivo pubblico italiano, alimentata dalle politiche espansive dell’amministrazione Trump. Nell’anno fiscale 2018, il deficit è salito del 17%, toccando il record di 779 miliardi. Il maxi-taglio dell’imposta societaria dal 35 al 21% ha avuto un ruolo determinante, causando una diminuzione delle entrate e un aumento delle emissioni di T-Bond.

Per finanziare la Trumpnomics, perciò, gli Stati Uniti sono a caccia di compratori di debito, in patria e all’estero. Un terzo dei titoli di Stato americani, 6.300 miliardi, è infatti in mani straniere: comprando o vendendo, questi investitori segnalano il loro supporto o la loro contrarietà alla politica economica o estera americana, in una sorta di diplomazia del T-Bond. Dai dati di agosto emergono alcune indicazioni interessanti sulla geopolitica del debito.

La Cina, pur rimanendo il primo creditore degli Usa con il 5,4%, ha ridotto la sua esposizione per il terzo mese consecutivo, passando da 1.171 a 1.165 miliardi. In un anno, nell’infuriare della guerra commerciale e nel tentativo di sostenere i corsi dello yuan, Pechino ha venduto titoli di Stato americani per 35 miliardi. In un’estrema ritorsione contro i dazi, la Cina potrebbe liberarsi di tutti i T-Bond in suo possesso, generando uno tsunami sui mercati. Un simile scenario appare però improbabile perché dalla svendita Pechino subirebbe le peggiori conseguenze, in termini di forti perdite. «È come puntarsi una pistola alla testa e dire ‘‘ho un ostaggio’’», osserva un’analista. Anche il Giappone, il secondo detentore con il 4,8%, ha diminuito la sua quota, vendendo in un anno obbligazioni Usa per quasi 72 miliardi.

Dietro l’alleggerimento, però, ci sono ragioni finanziarie: da tempo gli investitori nipponici temono (per ora a torto) che le politiche di bilancio di Trump porteranno a una svalutazione del dollaro. Potrebbe invece avere implicazioni politiche significative l’investimento dell’Arabia Saudita sul debito federale che ad agosto ha raggiunto il massimo storico di 170 miliardi. Dopo il petrolio, la monarchia di Riad ha aggiunto un’altra arma al suo arsenale diplomatico, da utilizzare in situazioni di difficoltà (vedi caso Khashoggi) per esercitare pressione sull’alleato americano. Hanno incrementato la loro quota anche Brasile e Irlanda, rispettivamente di 18 e 15 miliardi, che si confermano terzo e quarto creditore del Tesoro.

Il Brasile, in particolare, ha aumentato la sua esposizione in T-Bond del 14% nell’ultimo anno. All’appello manca, invece, un altro grande amico del presidente Usa: Vladimir Putin. In pochi anni, la Russia ha liquidato il 90% delle sue posizioni, scendendo dai 153 miliardi del 2013 ai 14 di agosto 2018. Tutti dati, in ogni caso, sono probabilmente approssimati per difetto, dato che fra i primi 12 detentori figurano cinque paradisi societari (Irlanda, Svizzera, Lussemburgo, Isole Cayman e Hong Kong).

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

Back To Top