THE BIG PICTURE
Le dimissioni del Segretario alla Difesa, James Norman Mattis, sono arrivate, non a caso, concomitanti alla notizia che il presidente Donald Trump ha ordinato il ritiro di 2.000 forze statunitensi finora stanziate in Siria ed ha ipotizzato il ritiro di 7.000 forze statunitensi attualmente stanziate in Afghanistan.
Contestualmente, e anch’esso – forse – non casualmente, questo mese, nel numero di gennaio-febbraio della rivista di armi e caccia Recoil, l’ex compagnia militare privata e contractor del Pentagono Blackwater ha pubblicato un annuncio a tutta pagina, in nero con un semplice messaggio: “Stiamo arrivando”.
La domanda è, dunque: la guerra in Afghanistan – e forse anche altrove – sta per essere privatizzata?
Il nome di Blackwater è associato al massacro di Nisour Square (Iraq), allorquando il 16 settembre 2007 risorse della compagnia militare privata, mentre scortavano un convoglio dell’Ambasciata statunitense a Baghdad spararono contro civili iracheni, uccidendo 17 persone, ferendone 20, causando un incidente diplomatico tra Iraq e Stati Uniti, e perdendo (come Blackwater Worldwide) la licenza per operare in Iraq. Il suo fondatore ed allora ceo, Erik Prince, un Navy SEAL, ha sempre difeso l’operato dei suoi uomini, adducendo tra i principali motivi alla base dell’accaduto la richiesta dell’allora Dipartimento di Stato di un profilo del convoglio eccessivamente elevato. Da allora, Blackwater è stata ridenominata più volte ed oggi è nota come Academi, dal 2014 divisione del Constellis Group.
Fin dall’avvio della presidenza Trump, Prince ha sempre cercato di proporre l’idea che la guerra in Afghanistan, ormai in corso da 17 anni, non sarebbe mai stata vinta con una campagna militare di tipo tradizionale, ma che fosse necessario uno sforzo diverso (e non superiore). Prince ha sempre sostenuto l’inutilità di mantenere una presenza militare il cui costo per il fabbisogno logistico necessario avesse raggiunto il trilione di dollari.
Il governo statunitense ha calcolato, infatti, che, fin dalla prima risposta statunitense nell’ottobre 2001, i contribuenti americani hanno speso 753 miliardi di dollari in operazioni di guerra, secondo una valutazione del 2017 da parte del Pentagono; 126 miliardi di dollari in ricostruzione, secondo una recente revisione contabile effettuata dal SIGAR (Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction), e circa 90 miliardi di dollari per le operazioni militari nel biennio 2018-19. Costo totale: quasi un trilione di dollari.
Il progetto di Prince per l’Afghanistan è emerso all’attenzione dei media per la prima volta nel 2017 in occasione della revisione strategica da parte di Trump della presenza militare statunitense in loco.
In maniera molto sommaria, il piano prevederebbe:
- Sostituzione delle Forze: Ci sono 23 mila soldati appartenenti a forze multinazionali in Afghanistan (15,000 Americani e circa 8 mila appartenenti a Paesi NATO) e circa 27 mila contractors del Pentagono. Il progetto di Prince intenderebbe sostituire l’intero contingente con 8 mila elementi (6 mila contractors militari, dotati con mezzi propri, e 2 mila appartenenti a forze speciali, tra Pentagono e CIA). I 6 mila contractors sarebbero composti fino al 60 per cento da ex operativi di forze speciali americane e fino al 40 per cento da ex operativi di forze speciali NATO. Le forze NATO sarebbero, dunque, rappresentate da individui e non da unità.
- Termine Missioni NATO:Il nuovo contingente sostituirebbe in toto le forze NATO sul terreno, fornendo un supporto strutturale incorporato in ANSF (Afghan National Security Forces).
Il nuovo contingente in Afghanistan risponderebbe ad un Inviato Speciale statunitense nominato per l’Afghanistan che riporterebbe direttamente al Presidente Trump e che disporrebbe di poteri di coordinamento con il Governo afghano.
Il costo del progetto dichiarato da Prince sarebbe non superiore ai 5 miliardi di dollari annui, con una notevole riduzione anche del carburante impiegato nella missione. Solo dal 2008 al 2016, le forze statunitensi in Afghanistan hanno consumato 2,8 miliardi di litri di carburante, con un costo di 13 miliardi di dollari. Prince prevederebbe la costruzione di due raffinerie in loco (costo stimato: circa 150 milioni di dollari) che trasformerebbero il normale diesel in carburante per aerei.
Nell’azione di pressione su Trump (favorita dalla vicinanza al Presidente della sorella di Prince, Betsy DeVos, attualmente Segretario all’Istruzione), inizialmente il piano di Prince aveva ricevuto l’approvazione sia di Steve Bannon, sia di Jared Kushner. Il fatto che promettesse meno costi sia finanziari che di impiego di truppe militari sul campo lo rendeva estremamente attraente per Trump. Ma il Presidente, nell’Agosto 2017 nell’approvare il piano per l’Afghanistan, preferì seguire i suggerimenti dei suoi consiglieri (l’ex National Security Adviser, H.R. McMaster, l’ex Segretario di Stato, Rex Tillerson, e l’uscente Segretario alla Difesa, Mattis) ai quali rivolse comunque forti critiche accusandoli del fatto che gli Stati Uniti stessero perdendo la guerra, e “limitandosi” al licenziamento del Generale John Nicholson, allora Comandante delle Forze statunitensi in Afghanistan.
WHY IT MATTERS?
Al contrario di allora, un impiego di un numero minore di forze militari private, invece di una importante presenza militare statunitense, potrebbe essere accolto favorevolmente dall’attuale leadership militare statunitense sul campo, in particolare, dall’ex capo del Joint Special Operations Command, Generale Scott Miller, che da Settembre scorso ha assunto il posto di Nicholson.
La potenziale privatizzazione della guerra afgana è stata sempre criticata e respinta integralmente da Mattis in quanto considerata un rischio per l’impossibilità di controllare il modus operandi di contractors militari. Inoltre, l’idea di lasciare il campo a militari privati non è stata mai digerita da un militare tradizionale di lungo corso come Mattis. Ma Mattis è ormai fuori, il nuovo Segretario di Stato, Mike Pompeo, è completamente in linea con il Presidente ed il nuovo National Security Adviser, John Bolton, si è detto sempre “open to new ideas”.
Ogni drastico cambiamento in tal senso è, dunque, possibile.
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Fabio Vanorio è un dirigente in aspettativa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Attualmente vive a New York e si occupa di mercati finanziari, economia internazionale ed economia della sicurezza nazionale. È anche contributor dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Niccolò Machiavelli”.
DISCLAIMER: Tutte le opinioni espresse sono integralmente dell’autore e non riflettono alcuna posizione ufficiale riconducibile né al Governo italiano, né al Ministero degli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale.