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Altro che Trump. È il calo demografico ad allontanare l’Europa dagli Stati Uniti

Antonio Golini è stato il primo accademico in Italia a mettere in guardia dagli effetti della nostra implosione demografica. Oggi, in un nuovo libro intervista con Marco Valerio Lo Prete, intitolato "Italiani poca gente", torna a ragionare sui molteplici effetti del nostro malessere demografico.

(Quello che segue è uno stralcio del libro “Italiani poca gente”, in uscita in queste ore nelle librerie e negli store online, scritto da Antonio Golini (professore emerito di Demografia alla Sapienza e docente di Sviluppo sostenibile alla LUISS) con Marco Valerio Lo Prete (giornalista del Tg1), pubblicato da LUISS University Press e con la prefazione di Piero Angela)

 

(…) I ritmi differenziati dello sviluppo demografico tra diverse aree geografiche del pianeta rischiano di approfondire alcune divisioni anche all’interno del cosiddetto “blocco occidentale”. Secondo George P. Shultz, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, proprio la relativa vitalità demografica dell’America rispetto agli altri Paesi di antica industrializzazione le consentirà di evitare la trappola della bassa fecondità e dell’aspettativa di vita crescente. Per questa ragione gli Stati Uniti potranno mantenere più facilmente un approccio attivo e non remissivo di fronte ai cambiamenti che ci attendono nella tecnologia, nello stato sociale e nel modo di condurre le guerre. Perfino la battaglia diplomatica in corso sul futuro dell’Alleanza Atlantica, con Washington che imputa agli Stati europei di non fare abbastanza per la NATO e di non rispettare l’impegno assunto in passato di spendere almeno il 2% del Pil per la Difesa, può essere letta come uno scontro che travalica la mera contabilità dei bilanci nazionali per la Difesa e affonda le sue radici nelle culle sempre più vuote dell’Europa.

Alcuni analisti puntano infatti il dito sulla drastica riduzione degli effettivi militari europei, riconducendola a denatalità e invecchiamento, e non soltanto al progressivo abbandono della coscrizione obbligatoria e al passaggio a un esercito di professionisti: se nel 1990, al termine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti avevano 2.181.000 militari, gli allora alleati europei (inclusa la Turchia) ne avevano 3.509.000, cioè il 60% in più; nel 2018, gli effettivi americani sono scesi del 40% fino a 1.314.000, quelli degli stessi Paesi europei sono calati del 64% fino a 1.283.000. Come ha notato tra i primi l’esperto americano di sicurezza internazionale Jeffrey Simon, la crisi demografica mette ancora più a rischio le tendenze future all’interno dell’Alleanza Atlantica, tra “aumento dell’età media” e “restringimento della coorte anagrafica di quelli in grado di prestare servizio militare” che potrebbero “ridurre la capacità di raggiungere i livelli necessari degli effettivi (…) Inoltre tale tendenza potrebbe rendere più complicata la modernizzazione di eserciti piccoli e dispendiosi di professionisti a fronte di costi sociali e sanitari crescenti per tutta la popolazione in ragione dello stesso invecchiamento medio. Alcuni Alleati europei potrebbero effettivamente arrivare a domandarsi se saranno ancora in grado di mantenere un esercito utilizzabile. Tra gli storici membri della Nato, i problemi del calo demografico e dell’invecchiamento saranno particolarmente avvertiti in Italia e in Spagna”.

Più di recente anche alcuni studiosi italiani – Michela Ceccorulli, Enrico Fassi e Sonia Lucarelli – hanno meritoriamente approfondito il tema, concludendo che le evoluzioni demografiche del pianeta porranno nuove e difficili sfide “esterne” per una Nato sempre più senescente: gli effetti destabilizzanti delle migrazioni africane e del peso crescente di popolazioni sempre più giovani nella stessa area; le difficoltà strategiche insite in conflitti che si svolgeranno con maggiore probabilità in aree densamente urbanizzate e che richiederanno – anche per le missioni di peace-keeping e peace-enforcing – forze militari numericamente più consistenti di quelle disponibili. Inoltre gli stessi ricercatori indicano nel rapido invecchiamento di alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia, l’origine di sfide “interne” all’Alleanza Atlantica: la difficoltà di un reclutamento quantitativamente e qualitativamente adeguato; la minore accettazione sociale di missioni militari rischiose da parte di popolazioni più anziane e infine la minore disponibilità a dedicare risorse di bilancio a un’alleanza militare piuttosto che a programmi di welfare per la terza età. Né infine gli attuali flussi migratori – principalmente di matrice ispanica e asiatica negli Stati Uniti, e sempre più africana e di fede islamica in Europa –, con i rispettivi e diversificati effetti sulle future leve militari e sulle priorità geopolitiche dei Paesi ospitanti, inducono a predire uno scontato riavvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico.

In definitiva, come rilevano alcuni osservatori, soprattutto americani, il calo demografico dell’Europa può essere considerato uno degli indicatori più evidenti della sua perdita di peso geopolitico nell’agone internazionale che la porta a essere sempre meno influente; un indicatore da valutare assieme al fatto che il Vecchio continente si è autoassegnato il ruolo di spettatore nelle principali partite diplomatiche, al suo mancato ruolo di protagonista nella rivoluzione hi-tech di Microsoft, Apple, Google, Amazon e Facebook, al suo arretramento nelle graduatorie globali per l’educazione universitaria e la spesa militare. È in questo contesto, certo non facile, che si muove l’Italia ai tempi della propria crisi demografica da record.

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