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Quirinale Berlusconi

Troppo zelo su Berlusconi?

I Graffi di Damato

 

Conservo ancora nitido il tenero ricordo dell’adolescente Marina Berlusconi già in apprendistato manageriale che, seduta in un angolo della stanza della villa di Arcore dove il padre riuniva i dirigenti del suo gruppo, prendeva diligentemente appunti su ciò che si discuteva. Erano i tempi, fra l’altro, in cui l’allora Fininvest era alle prese con l’offensiva del Pci, in particolare del giovane Walter Veltroni, contro le interruzioni pubblicitarie di film ed altri spettacoli all’insegna del no alle interruzioni, appunto, delle “emozioni”. Cui Berlusconi, o “il dottore”, come noi lo chiamavamo, accettò dopo qualche esitazione di opporre lo slogan del “vietato vietare”. Non poteva immaginare, il Cavaliere, altro titolo che si usava generalmente per parlare e scrivere di lui, che sarebbe arrivato anche per un liberale come lui, refrattario -secondo i suoi critici e avversari- ad ogni vincolo o semplice regola, il momento di dover vietare qualcosa come presidente del Consiglio proponendo leggi e firmando decreti.

Gli anni passano. E con gli anni passano, almeno in parte, le tenerezze: persino quelle filiali, se sono vere le voci giuntemi di una certa energia che la tosta, tostissima Marina Berlusconi ogni tanto usa anche nei riguardi del padre che si sottrae alla sua devota sorveglianza in tema di salute, amicizie e quant’altro. E come darle torto, d’altronde, conoscendo le imprudenze delle quali Berlusconi è capace con la sua generosità, affettività e comprensione per gli amici che spesso abusano di lui, o lo tradiscono con sfrontatezza?

Non mi ha pertanto stupito per niente leggere di recente, in una intervista del mio amico Augusto Minzolini, la infastidita reazione della presidente della Mondadori alla terza volta, se non ricordo male, in cui l’appena nuovo direttore del Giornale di famiglia parlava, pur compiaciuto, della “riabilitazione” conquistatasi da Berlusconi, dopo e nonostante le traversie giudiziarie, rimanendo protagonista della politica. O addirittura occupando ancora più saldamente il centro della scena col suo moderatismo nel centrodestra a trazione elettoralmente leghista o persino meloniana. E con le sue visioni e relazioni internazionali.

Ma riabilitato da che cosa? Chiedeva praticamente la figlia ricordando a Minzolini le cattiverie che il padre aveva dovuto subire e per le quali gli spettavano “risarcimenti” e non riabilitazioni. E neppure in questo, francamente, si poteva darle torto più di tanto perché, al netto degli errori indubbiamente imputabili come a tutti gli esseri umani, un po’ di accanimento Berlusconi lo ha sicuramente subìto: anche o a cominciate da quella curiosa e controversa condanna definitiva per frode fiscale, costatagli il seggio al Senato e comminata a uno dei maggiori, se non al maggiore contribuente italiano.

Con questi precedenti ho provato ad immaginare la faccia e le parole di Marina Berlusconi, ieri, di fronte all’editoriale col quale il fortunatamente ex direttore del Giornale Alessandro Sallusti, ora al volante di Libero, ha scritto una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella perché in questi ultimi mesi del suo mandato al Quirinale trovi il modo, senza peraltro specificare quale, di “riabilitare” Berlusconi. Magari, pur senza scriverlo esplicitamente, per metterlo in condizione di partecipare meglio, a 85 anni quasi compiuti e coi problemi di salute evidenziati dal suo costante monitoraggio all’ospedale San Raffaele di Milano, alla ormai imminente nuova edizione della corsa al Colle più alto di Roma. Dove, peraltro, sullo stesso Libero, in una intervista a tutto campo, Giorgia Meloni aveva appena attribuito “non molte possibilità di salire” all’ex presidente del Consiglio. Che pure l’aveva da poco ricevuta con molta carineria nel suo rifugio sardo, dandole ragione nello scontro avuto con Salvini e con gli stessi forzisti per la esclusione del suo partito dal nuovo Consiglio di Amministrazione della Rai. E lasciandola incantata davanti alla sua eccezionale collezione di farfalle, non catturate certamente sotto il romano Arco di Tito.

Che differenza – avrà commentato Marina Berlusconi, senza bisogno che nessuno glielo ricordasse lasciandole sulla scrivania qualche ritaglio di giornale – da quella specie di energumeno che tanti considerano Matteo Salvini anche tra i forzisti. Il quale quando parla, di suo o rispondendo a qualche domanda, delle possibilità, probabilità e quant’altro di una partecipazione diretta di Berlusconi alla corsa al Quirinale dice che ne avrebbe tutti i diritti e meriti dopo tutto quello che ha dimostrato di saper fare nella sua vita di imprenditore e di politico. E con ciò lealmente e amichevolmente affidandosi totalmente alla valutazione dello stesso Berlusconi sulla praticabilità e opportunità di una partecipazione diretta alla corsa, e non certo -si deve presumere- come il solito, onorifico candidato “di bandiera” del centrodestra: cioè come un semplice Pietro Nenni, Francesco De Martino e persino gli inconsapevoli Amintore Fanfani e Arnaldo Forlani qualsiasi degli anni della cosiddetta prima Repubblica per conto, rispettivamente, dei socialisti, o della sinistra momentaneamente unita, o della Democrazia Cristiana.

Ah, Sallusti tu quoque, potrebbero gridargli Berlusconi padre e figlia, tuttavia attribuendone generosamente l’errore al “troppo zelo” che il principe Charles-Maurice di Talleyrand-Perigord sconsigliava ai suoi collaboratori in ogni fase della sua lunga e camaleontica carriera politica.

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