E siamo a cinque. Arriva a sorpresa la quinta proposta di modifica costituzionale promossa dal governo. Già il Consiglio dei ministri di oggi potrebbe esaminare il disegno di legge che conferisce poteri legislativi a Roma sull’onda della controversa, ma vigente riforma del 2001. Secondo la quale la Repubblica non “si riparte” più in “Regioni, Province e Comuni” – come stabiliva la saggia Costituzione dei padri costituenti -, ma “è costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato”, elencati dal basso verso l’alto all’insegna di un egualitarismo demagogico, visto che nessuno degli enti indicati può avere né ha il peso dello Stato. Adesso alla lista s’aggiungerà Roma Capitale, che pure già figura nell’onnicomprensivo e nuovo articolo 114 della Carta cambiato un quarto di secolo fa.
L’intento della maggioranza è di riconoscere alla capitale d’Italia prerogative proprie e particolari in materia di urbanistica, trasporti locali, commercio, turismo, beni culturali e ambientali. Qualcosa a metà strada tra i modelli di Madrid, che è una delle comunità autonome della Spagna, e Berlino città-Stato in Germania. O comunque qualcosa che, acquisendo un ruolo più forte e autonomo, meglio corrisponda all’indiscutibile Roma “caput mundi” che l’universo non da oggi le riconosce.
Sta, però, di fatto che tale riforma si sommerà a quelle in corso sulla separazione delle carriere (esito appeso al referendum che ne seguirà dopo l’approvazione definitiva), sull’elezione diretta del presidente del Consiglio – arenatasi in Parlamento; non va né avanti né indietro -, sull’autonomia differenziata demolita dalla Corte Costituzionale e sulla revisione dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, la cui lunga marcia è appena cominciata alla Commissione Affari costituzionali della Camera.
Molta carne al fuoco per una legislatura che ha già fatto il giro di boa: restano un paio d’anni dopo i quasi tre ormai raggiunti. Molta autonomia distribuita a destra e a manca, a Roma, alle regioni ordinarie, a quelle speciali, salvo poi dover fare i conti con la Corte Costituzionale, che l’ordinamento ben conosce e sempre custodisce e garantisce nell’interesse di tutti gli italiani ovunque essi risiedano.
Ma la politica, si sa, è sintonizzata su un altro canale e, a seconda delle mode, salta con disinvoltura dalla questione meridionale a quella settentrionale alla fine trascurandole entrambe.
Oggi nella hit parade dell’autonomia è il turno di Roma Capitale, domani chissà. C’è sempre un nuovo e più ambito potere all’orizzonte da inseguire o da promettere. E poco importa se, per realizzarli, occorreranno quattro passaggi fra Camera e Senato uguali tra loro e a distanza di periodi precisi. Non è dolce naufragar in questo mare di sogni e di chiacchiere, che poco s’addice alla necessità di affrontare, intanto, con urgente pragmatismo l’autonomia del quotidiano, a cominciare dall’incubo dei dazi di Donald Trump. Che colpiranno proprio tutti, da nord a sud passando per Roma Capitale. Senza aspettare né le riforme né la fine della legislatura.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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