Quel diavolo di Bashar al Assad fuggendo a Mosca proprio nella giornata dell’Immacolata Concezione, per salvare almeno la pelle nella rivolta che lo ha travolto in Siria, è riuscito a offuscare sulle prime pagine dei giornali italiani la festa di Giuseppe Conte per la (ri)decapitazione pur metaforica di Beppe Grillo. Che ha perduto anche il secondo turno delle votazioni digitali nel movimento da lui fondato a suo tempo. E peggio ancora del primo turno di due settimane fa. Ai funghi, proposti da Grillo per gite alternative alle votazioni, gli iscritti hanno preferito Conte.
Soddisfatto dell’”onda dirompente”, come l’ha chiamata lui stesso, che l’ha salvato e consolidato alla guida di quel che è rimasto elettoralmente del MoVimento 5 Stelle, l’ex premier ha ora come inconveniente maggiore non tanto l’inseguimento del Pd sulla strada dell’opposizione, per essere il più duro e puro, il “progressista” più “indipendente” nelle spallate quotidiane al governo Meloni, quanto il ritorno alla sua professione o esperienza di avvocato per non essere travolto dalle cause che per generale previsione lo aspettano. Promosse naturalmente da Grillo, che non intende lasciargli senza combattere quel marchio delle 5 Stelle che da solo pare valga il 3 per cento dei voti. Non sono pochi in una regione, per esempio, come l’Emilia-Romagna dove il mese scorso il movimento ora del tutto contiano è sceso al 3.6 per cento. A livello nazionale, certo, potrebbe andare meglio ma sempre lontanissimo, sideralmente, dal 30 per cento del 2018.
Dai giornali che hanno preferito la tragedia di Assad a quella di Grillo, o la festa del rivoltoso siriano Abu Muhammad al Jani a quella di Conte, ha voluto distinguersi Il Fatto Quotidiano. Che ha preferito per la sua copertina, diciamo così, un Grillo mestamente di spalle fotomontato sotto un titolo sull’Elevato che “scende dalle stelle”, sullo sfondo di un rosso natalizio.
Sono finiti davvero i tempi in cui il direttore di quel giornale andava a divertirsi agli spettacoli comici di Grillo, non so se più da spettatore pagante o da invitato, per darsi la carica anche come cronista e analista della rivoluzione pentastellare. Premono ora altri problemi da quelle parti di elettorato o opinione pubblica, come si dice con troppa generosità forse. Preme soprattutto il problema di difendere Conte nella postazione dove Marco Travaglio lo aveva collocato di “migliore presidente del Consiglio d’Italia dopo Cavour” – sì, proprio lui, il primo e mitico Camillo Benso conte, al minuscolo, di Cavour – e di lasciargli ancora sperare in un ritorno a Palazzo Chigi, pur nelle difficoltà personali, politiche ed elettorali che si è procurate. E che Giorgia Meloni, reduce dal suo incontro parigino con Trump, non ha nessuna intenzione di alleviargli, neppure per fare un piacere alla segretaria del Pd Schlein. Cui Travaglio l’accoppia più o meno perfidamente nelle sue finissime analisi politiche sul piano della politica estera e persino interna.