Confermando le sue invidiabili doti di combattente politico, Fabrizio Cicchitto dalle colonne di Libero denuncia che “con la vicenda ligure siamo di fronte a un salto di qualità che rimette nelle mani delle procure la vicenda di tante regioni. E conseguentemente di tutto il sistema politico italiano”; definisce senza giri di parole “sequestro di persona” l’arresto di Giovanni Toti disposto dalla magistratura genovese e revocato solo dopo le dimissioni di quest’ultimo dall’ufficio di presidente della regione Liguria; sfida sarcasticamente i magistrati a fare 31 dopo aver fatto 30 e quindi a indicare esplicitamente il successore di Toti. Conclude, il politico socialista di lunghissimo corso, chiedendo “l’apertura di un confronto con il massimo garante della democrazia nel nostro Paese che è il presidente Mattarella perché siamo di fronte ad una rottura delle regole”. Si può immaginare con che gioia del Quirinale.
É vero che la vicenda Toti ha risvegliato memorie un po’ sinistre di allineamento dei principali organi d’informazione a scelte della magistratura che ricordano il modus operandi dei magistrati di Mani Pulite, ed è comprensibile che la prospettiva di una candidatura dell’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando a presidente della regione possa alimentare sospetti.
Trentadue anni, però, non sono trascorsi invano e non si può dare per scontato che la prima ripresa del match tra magistratura e Toti si sia conclusa a vantaggio della prima. La mia impressione – per il poco che vale – è che Toti abbia sinora giocato bene le sue carte, scegliendo lui il momento delle dimissioni, che hanno di fatto costretto i magistrati a “liberarlo” quando ormai l’opinione pubblica era largamente informata: di autorevoli opinioni severamente critiche sull’uso della misura restrittiva, del carattere ufficiale e dichiarato delle somme ricevute da Toti o da chi per lui a titolo di finanziamento dell’attività politica che avrebbero motivato il sospetto di corruzione, e infine del fatto che la principale tangibile conseguenza dell’inchiesta genovese, e della grancassa suonata al seguito da importanti organi d’informazione, era di lasciare l’economia portuale genovese alla sostanziale mercè di un unico operatore di grandissimo peso che, dopo avere benevolmente assicurato un futuro al principale quotidiano della città (che non ha perso l’occasione di salutare la fine del “sistema Toti”) dovrà forse anche farsi carico dell’aeroporto, essendosi la locale Camera di Commercio dichiarata “disponibile” a cedere la propria quota del 15 per cento.
Che da una parte Toti possa contare su un sistema nervoso molto solido e giochi lungo lo dimostra anche l’attenzione con cui ha risposto, pesando ogni parola, alle domande di Pietro Senaldi per Libero (forse, da vecchio giornalista, avrebbe fatto meglio a limitarsi a una generica evocazione della Magna Charta senza scomodare Rousseau e Hobbes, ma è una questione di gusti). Che dall’altra parte la magistratura inquirente e requirente negli ultimi decenni abbia conseguito un potere di fatto enorme al quale – come nessun gruppo sociale – non rinuncerà senza prima aver combattuto fino allo stremo utilizzando senza remore anche i rapporti preferenziali con il mondo ormai esangue dell’informazione, non sorprende nessuno. Il confronto tra l’operazione Toti e Mani Pulite non denota un crescendo ma semmai la successione della farsa alla tragedia, se solo si pensa alle intercettazioni tenute in caldo per quattro anni per essere poi somministrate agli operatori dell’informazione (ammesso e non concesso che di informazione si tratti).
Del resto, se la classe politica italiana si trova alla mercé della magistratura è anche perché più di mezzo secolo fa questa classe politica, al cospetto dell’autunno caldo, ha preferito nascondersi metaforicamente sotto le toghe dei pretori lasciando ai magistrati la gestione delle relazioni industriali. Il potere segue sempre la stessa logica: si trasmette ai supplenti perché così fa comodo ai principali ma poi diventa complicato farselo restituire.Ma tutto questo non dimostra che il potere esercitato extra moenia, per così dire, dalla magistratura, sia un dato di fatto irreversibile.
Convinto come sono che Francesco Saverio Borrelli sia stato non solo un magistrato eccellente ma anche una persona per bene e soprattutto un napoletano intelligente e cinico ben fornito di senso dell’umorismo e del ridicolo (a differenza di non pochi suoi colleghi), trovo di sconfinata superficialità attribuirgli, come in passato si è fatto, il “sogno” di un “regime dei magistrati” solo perché in un’intervista aveva detto che se l’Ottocento era stato il secolo dei Parlamenti e il Novecento quello degli esecutivi non escludeva che il secolo seguente sarebbe potuto essere il secolo della giurisdizione. Una previsione non è necessariamente un auspicio e in qualche caso può esserne l’esatto contrario, un avvertimento.
Come previsione, quella di Borrelli fino a oggi si direbbe azzeccata. Ma questo accade non tanto per la Wille zur Macht dei procuratori della Repubblica quanto per le scelte rinunciatarie della politica che ha perso la capacità e la voglia di svolgere il proprio ruolo e ha lasciato che i sistemi politici si svuotassero: all’esterno, in Europa, a beneficio della classe burocratica di Bruxelles, all’interno soprattutto verso la magistratura appunto. Dove la politica fa la sua parte come nei Paesi che amiamo definire autocratici come la Russia o in altri che non osiamo definire imperiali come gli Stati Uniti o altri ancora che preferiamo non definire in nessun modo come l’India o la Turchia, i magistrati stanno bene attenti a non uscire dal terreno di caccia loro assegnato, e anche quando sembrano entrare nella partita politica (come nei riguardi di Donald Trump) lo fanno pur sempre al rimorchio di una parte politica. Da noi accade il contrario, ed è evidente che finché una porzione importante delle forze politiche resterà al traino della magistratura episodi come quelli che Cicchitto ha denunciato col vigore che meritano seguiteranno a ripetersi.
Ma di pari passo si usurerà, come già si sta usurando, la credibilità della magistratura, la quale sembra essersi dimenticata di un’altra osservazione acuta del Borrelli di 32 anni fa, cioè che la magistratura, essendo da noi e più in generale nell’Europa continentale un corpo burocratico, ha un bisogno disperato di credibilità (che è – questo mi permetto di aggiungerlo io – qualcosa di ben diverso dall’interessato favore di alcuni organi di informazione). Anche Kamala Harris, ex procuratore generale della California, diventerà forse a novembre il prossimo presidente degli Stati Uniti. Ma sarà eletta: da otto anni non appartiene più alla “giurisdizione”. Nei Paesi che non hanno rinunciato alla politica il potere politico si esercita solo nell’ambito delle istituzioni politicamente legittime, non nei corridoi dei palazzi di giustizia.