Multa della guardia costiera a Cecina, dove un 13enne guidava la moto d’acqua: per fortuna non ci sono stati incidenti né vittime. Uno dei quattro ragazzini che su un’auto rubata hanno investito e ucciso Cecilia De Astis, a Milano, ha detto solo: “Abbiamo avuto paura e siamo scappati”. Tra i due casi c’è una distanza socio-economica siderale ma anche qualche insidiosa analogia. Sono padri sboroni o mariuoli a fare figli incoscienti? Mah, tutti conosciamo ragazzi splendidi con genitori che non se li sarebbero meritati e, soprattutto, giovani per male con papà e mamme che hanno fatto di tutto per crescerli bene.
Nella genitorialità, come nella vita, il fattore C o lato B conta oltre quanto il merito. Anche perché, se è discutibile la fluidità di sesso, quella anagrafica esiste sicuramente: il confine tra bambino, pubere, adolescente, giovane, adulto è molto soggettivo. Così pure esiste la permeabilità del cervello all’ambiente, che si mescola in modo misterioso con i dati genetici innati. Davanti a questa complessità, sul caso di Milano, non funzionano le banalità ministeriali tipo “la svolta parte dalla scuola”, né la richiesta di “provvedimenti”, le polemiche contro i servizi sociali, oppure la velata giustifica che ai quattro sarebbero mancati istruzione, vaccini e assistenti sociali. Non funzionano le invocazioni panpenaliste sulla responsabilità penale né il buonistico “i rom sono meglio di voi”.
I bambini e i rom andrebbero tenuti distinti. Sul piano antropologico, occorre la consapevolezza che nell’animo umano covano pulsioni negative, insofferenti alle regole, talvolta violente: la loro elaborazione fa parte della crescita e produce sentimenti e atteggiamenti diversi, in particolare durante l’adolescenza ma anche nell’infanzia. I bambini possono commuoverci con meravigliose ingenuità come sgomentarci con una ferocia involontaria. Rubare un’auto, guidare una moto d’acqua, commettere omicidi e parricidi nelle cronache si confondono, mentre si tratta di situazioni individuali da prendere singolarmente.
Sul piano sociologico, i contesti in cui i fatti di cronaca maturano, in questo caso il campo rom, andrebbero considerati a parte, a prescindere dai fatti stessi. Chiedere rigore nei confronti dei nomadi non è una bestemmia razzista. Imputare loro un’irriducibile tendenza a vivere in forme avulse e persino ostili alla nostra socialità neppure. Questo vale per tutte le marginalità: possiamo operare con le migliori e meglio finanziate intenzioni ma il clochard che dorme sui marciapiedi alla stazione spesso, paradossalmente e drammaticamente, lo “vuole”, lo ha “scelto”. Nel caso delle comunità zingare, nomadi, rom, sinti la “scelta” non è più individuale ma rientra in una cultura, in una tradizione che però è incompatibile con la nostra e rispetto alla quale è legittimo, necessario agire in modo repressivo, oltre che con il dialogo. La tolleranza, la comprensione, la cautela sono dovute ai bambini, non al degrado.