Il caso della telefonata di due noti “comici”(?) russi, Vladimir Kuznetsov and Alexey Stolyarov, in arte conosciuti come Vovan e Lexus, che hanno ingannato il premier Giorgia Meloni, ha creato una forte preoccupazione perché è chiaro, estremamente chiaro, che dietro l’apparente goliardia con cui si tenta di sminuire l’evento che ha danneggiato la credibilità dell’intero apparato di sicurezza di Palazzo Chigi, si palesa l’ombra di un’operazione ostile dei servizi segreti di Mosca, che tentano continuamente di destabilizzare l’Italia.
Nella lunga conversazione telefonica, tenuta nascosta per diverse settimane e pubblicata solo in parte al momento, (ci sarà una seconda puntata?), in cui il presidente del Consiglio Meloni pensava di parlare con il leader dell’Unione Africana, i due presunti “comici” sono riusciti a deviare il colloquio con la premier dall’Africa alla guerra in Ucraina, facendole esprimere opinioni sulle sanzioni dell’Occidente contro la Russia, sul blocco delle banche russe e sull’evolversi del conflitto.
Il duo russo Vovan e Lexus, entrato in attività alla fine del 2014 a seguito dell’invasione russa dei territori ucraini del Donbass e della Crimea, è diventato celebre per le loro telefonate a diversi esponenti e leader politici internazionali, incentrando le loro conversazioni sempre sul loro chiodo fisso: l’Ucraina. Per accreditarsi con gli staff delle loro vittime prescelte, di volta in volta hanno assunto diverse false identità, spacciandosi per personaggi molto conosciuti, come Petro Poroshenko e Arsenly Yatsenyuk, per Arsen Avakov, riuscendo ad ingannare leader come l’ex presidente della Moldavia Timofti, il generale statunitense McNeely, il presidente della Turchia Erdogan, quello della Macedonia del Nord, Zoran Zaev, ed in parte anche l’ex cancelliera della Germania Angela Merkel.
Furono però smascherati nel 2020, quando si sono addirittura spacciati per Greta Thunberg e suo padre, riuscendo ad interloquire con il primo ministro del Canada Justin Trudeau. Argomento di quella telefonata furono i risultati dell’inchiesta condotta dal governo canadese sul volo 752 dell’Ukraine International Airlines, abbattuto nello spazio aereo ucraino nelle prime ore dell’8 gennaio del 2020, dopo essere decollato dall’aeroporto di Teheran. I due “blogger” tentarono di contestare i risultati dell’indagine sul disastro, provocata dal lancio di due missili iraniani, sostenendo l’ipotesi propagandata dai separatisti filorussi che accusavano l’esercito ucraino di aver abbattuto l’aereo. In quella telefonata tentarono anche, senza riuscirci, di provocare il premier canadese a dichiararsi insoddisfatto della Nato, che si allargava nell’Est Europa.
La comunicazione è guerra con altri mezzi
Indipendentemente dal contenuto delle dichiarazioni fatte dal PdCM Meloni ai due impostori russi, che certamente meritano un’approfondita analisi politica, la combinazione del danno alla credibilità dell’infrastruttura di sicurezza e diplomatica di Palazzo Chigi causato da questo evento, ha immediatamente ottenuto ripercussioni estremamente positive per il Cremlino e per Hamas, provocando le dimissioni del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi Francesco Maria Talò (nella foto). Ambasciatore di grado, il livello più alto che si può raggiungere nella carriera diplomatica. Tra il 2017 e il 2019, Talò è stato responsabile per la sicurezza cibernetica al ministero degli Esteri, e coordinatore della Conferenza Osce per la lotta all’antisemitismo. Dal 2019 è rappresentante permanente della delegazione italiana nella Nato a Bruxelles e responsabile del dossier sull’Ucraina e sul futuro dell’Alleanza Atlantica.
Questi sono i primi effetti provocati dalla telefonata del PdCM con 2 soggetti russi, definiti “comici” dai nostri media che invece vanno considerati come elementi facenti parte dell’ecosistema di “misure attive” e metodi di guerra politica ed economica russa. “Agenti” integrati nella strategia della Russia che utilizza in modo poliedrico le fonti di disinformazione e propaganda. Attraverso la manipolazione di dichiarazioni ufficiali di leader avversari, media finanziati dallo Stato, siti web proxy, bot, falsi personaggi ed operazioni di disinformazione nei social media abilitate dal cyber, i Servizi segreti russi sferrano attacchi contro personalità istituzionali e leader politici, per danneggiare i Paesi nemici, tra cui l’Italia.
La Federazione russa, così come i terroristi di Hamas ed i loro alleati, non potranno vincere le guerre che hanno scatenato, ma sono capaci di creare tensioni e caos grazie ad una efficace struttura di “comunicazione strategica”. Con una formidabile campagna di propaganda e minacce per terrorizzare l’Occidente (guerra nucleare, brutali massacri di donne e bambini diffusi sulle piattaforme social), hanno creato le basi per sfruttare l’effetto moltiplicatore dei media, creando delle vere e proprie tempeste di disinformazione con effetti pericolosi e destabilizzanti a livello internazionale, nazionale e locale.
Quando si pensa alle guerre, si pensa soprattutto ai combattimenti ed alla perdita di vite umane, ma anche nelle guerre più feroci come quelle scatenate in Ucraina e Israele, c’è sempre una parte di soft-power che gioca un ruolo fondamentale: la comunicazione.
La comunicazione rappresenta un ingranaggio fondamentale anche per il complesso sistema della sicurezza, della Difesa e delle operazioni militari. Come hanno dimostrato la Russia, la Corea del Nord e la Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, costituendo le migliori macchine di propaganda della storia. E come ha magistralmente dimostrato l’efficacia della strategia di comunicazione del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, a seguito dell’aggressione russa. Efficacia comunicativa che non stanno riuscendo ad esprimere Israele ed il suo premier Netanyahu dopo il barbaro attacco sferrato dai terroristi di Hamas il 7 ottobre scorso, che sta provocando forti e contrapposte reazioni nelle opinioni pubbliche, mentre la campagna mediatica di Hamas ha innescato un impressionante rigurgito di antisemitismo a livello globale.
Cos’è la comunicazione strategica?
Le comunicazioni strategiche nazionali, come quelle espresse dal presidente del Consiglio, sono un pilastro fondamentale della sicurezza nazionale di uno Stato.
La comunicazione strategica è un termine ombrello per descrivere le attività di discipline che includono le relazioni pubbliche, gli affari internazionali, la sicurezza nazionale, la comunicazione manageriale, la pubblicità, l’informazione interna ed estera.
La comunicazione per un Governo rappresenta la “diplomazia pubblica” cioè un vero e proprio programma strategico per informare e coinvolgere la propria opinione pubblica ed al contempo influenzare quelle di altri paesi, dei mercati e degli investitori. Come tale, definisce la capacità dei Governi e di tutte le organizzazioni afferenti allo Stato – aziende, media pubblici, ONG, scuola e università, di impegnarsi in una comunicazione mirata a contrastare l’influenza, la disinformazione e la propaganda maligna di attori ostili.
Coerentemente, il ruolo da assegnare alle comunicazioni strategiche dovrebbe essere pari alle altre principali funzioni politiche del Governo – parallelamente alle politiche diplomatiche internazionali, alle politiche di Difesa e sforzo militare per sostenere le alleanze, alle politiche di sicurezza nazionale a tutela delle nostre istituzioni, della stabilità politica, economica e sociale del Paese. Questo è l’approccio per posizionare correttamente la comunicazione strategica, come uno dei principali asset di soft power che lo Stato dovrebbe perseguire, soprattutto in periodi di guerre diffuse e di grandi sommovimenti geopolitici, come quello attuale. Tuttavia, nonostante la sua vitale importanza, sia le risorse umane impegnate che quelle economiche investite dal Governo in questo campo, sono tutt’altro che adeguate ed evidentemente non all’altezza per fronteggiare minacce ibride. Allo stesso tempo, i problemi della comunicazione strategica in Italia non possono essere attribuiti solo alla mancanza di risorse: ci sono altre ragioni culturali, di percezione e cognizione dei rischi e delle minacce, di professionalità e di valori. Se le comunicazioni strategiche sono davvero una componente chiave della sicurezza nazionale, allora devono essere strutturate di conseguenza.
Comunicazione strategica e intelligence protettiva
Sarebbe interessante conoscere le attività che si celano dietro le indubbie capacità di trasformismo, metamorfosi e furto di identità di personaggi famosi (tipiche degli agenti dei Servizi di intelligence), e le modalità che hanno permesso ai due “Gattopardi” russi, di avvicinare ed ingannare lo staff di Palazzo Chigi ed addirittura di farsi richiamare dal nostro premier, senza che tutto ciò abbia allertato il nostro apparato di intelligence.
Desta preoccupazione la facilità di penetrazione di Palazzo Chigi, come se ci fosse una sottovalutazione dell’attuale scenario geopolitico ed oggettive problematicità nel sistema di protezione del Presidente del Consiglio, che evidenziano la necessità di adeguare urgentemente le policy per la sicurezza delle comunicazioni delle personalità istituzionali e dell’Alta burocrazia dello Stato.
A cosa servono le Agenzie che sulla carta dovrebbero tutelare gli interessi nazionali nel campo della sicurezza cibernetica, quando non si verificano nemmeno le mail o i numeri telefonici di chi contatta il presidente del Consiglio in quella che dovrebbe essere la sede più monitorata del Paese?
Che tipo di provvedimenti sono stati presi per contrastare il crescente numero di attacchi cyber, azioni ibride “sotto soglia” e campagne informative o disinformative contro le personalità istituzionali, attuate da milizie irregolari, attori non statali come i due presunti “comici”, o da Paesi ostili?
Lo sviluppo e la rapida diffusione di nuove tecnologie, se da un lato sembra facilitare la comunicazione attraverso le varie piattaforme social, dall’altro rappresenta un grande ostacolo alla capacità del Governo di impegnarsi in una comunicazione strategica che sia coerente con i suoi obiettivi a lungo termine. La competizione, le infiltrazioni e le ingerenze portate avanti attraverso l’ambiente informativo, ampliano notevolmente il concetto di minaccia alla sicurezza nazionale, generando difficoltà nel tracciare una linea di demarcazione netta tra comunicazione via social e rischi di manipolazione delle immagini e della voce per alterazioni deepfake o, semplicemente, per realizzare che si è coinvolti in una guerra, per la crescente complessità di una società globale e digitale permanentemente sotto attacco, anche se invisibile e a bassa intensità.
Il governo attuale, come i precedenti, fatica ad adattare il proprio assetto geopolitico con la comunicazione strategica, non solo alle esigenze interne ma anche alle insidie poste dalle tecnologie del XXI° secolo. Anche se è difficile per molti digerire il termine, da diverso tempo siamo coinvolti nella prima info-warfare globale (guerra dell’informazione) della storia – per quanto non convenzionale e irregolare possa essere.
Viviamo in un’era di e-mail, blog, App, smartphone, social media, Instant Messaging, Internet globale, dark web senza inibizioni, videocamere portatili, dirette streaming, deepfake AI, chat cifrate, notiziari 24 ore su 24, comunicazioni satellitari, che permettono forme di spionaggio e di attacco che prima erano nelle disponibilità esclusiva degli Stati, ora sono alla portata di chiunque.
Non c’è mai stata, prima d’ora, una guerra dell’informazione combattuta senza esclusione di colpi in un contesto globale. E la difficoltà delle nostre Istituzioni nel comprendere ed affrontare questa situazione è evidente.
L’”incidente” in cui è incorso il nostro premier evidenzia l’importanza di utilizzare le informazioni di intelligence anche per scopi di comunicazione. È essenziale stabilire e rafforzare meccanismi che consentano di individuare e “legittimare” tali informazioni rilevanti per il presidente del Consiglio, per la diplomazia, per i rapporti con gli alleati e soprattutto con gli Stati avversari.
Il contesto geopolitico richiederebbe di alzare il livello di guardia ed implementare policy di valutazione della minaccia e intelligence protettiva, cioè un processo di raccolta e valutazione delle informazioni su organizzazioni e persone che potrebbero avere l’interesse, il movente, l’intenzione e la capacità di compiere attacchi, anche informativi, contro personalità pubbliche e funzionari dello Stato.
Esattamente come si procede con la protezione fisica delle personalità istituzionali (scorte), bisognerebbe utilizzare contromisure avanzate per minimizzare le vulnerabilità cibernetiche e rispondere con decisione a minacce ed attacchi contro i membri di Governo e delle Istituzioni.
Un programma e sistemi di intelligence protettiva in grado di identificare e impedire che attori con mezzi e l’interesse per attaccare personalità istituzionali possano raggiungere, monitorare, spiare o sferrare un attacco come quello effettuato dai due “comici” (?) russi contro il presidente del Consiglio Meloni.