Sui continui casi di violenza sessuale inquadrati nel mondo del web e dei social media sono disponibili tanti e variegati commenti che però, ci pare, spesso non escono dall’occasionalità e non evitano la relativa emotività. L’ultimo è quello del sito Phica.eu (complimenti vivissimi per il naming!), attivo dal 2005 con oltre 200.000 iscritti, che ha pubblicato foto rubate da social, TV e momenti diversi, ritoccate e accompagnate da commenti tipo “ragazza veramente fisicata, la sfonderei subito, che lato B…”. Sono ritratte comuni cittadine, donne dello spettacolo e della politica, tra le quali Valeria Campagna e Alessandra Moretti del PD hanno denunciato, parlando di “cultura dello stupro” e di “una nuova forma di violenza digitale”, “figlia di una cultura patriarcale che normalizza l’idea che il corpo delle donne sia da possedere”.
Primo tentativo di approfondimento: sessismo e volgarità meritano sicuramente condanna, ma il peso specifico della “vittima” è talvolta determinante. Il che è inevitabile, utile (il personaggio pubblico fa da testimone, o testimonial) ma anche profondamente discriminatorio.
Secondo caso. Marzia Sardo, piangendo a dirotto, racconta: era ricoverata al Policlinico di Roma, stava per fare una tac, ha chiesto se si dovesse togliere il reggiseno e un medico le ha risposto di no, aggiungendo: “Se però vuoi levartelo ci fai contenti tutti”. I social vengono invasi: dalla storia, dalla condanna della battuta inopportuna e da derubricazioni giustificatorie tipo “era per creare un clima amichevole”, quasi un favore. Si contrappongono anche fonti normative pro e contro, per dire se è o non è molestia.
La fastidiosa volgarità sessuale è lo spunto per una di quelle immediate e dilaganti polarizzazioni che, su web, sembrano inevitabili. Soprattutto quando emerge che la ventenne studia recitazione e vengono sollevati sospetti di messinscena. Il caso ricorda Giorgia Vasaperna: la giovane, al Giffoni Film Festival, dichiara in lacrime di soffrire di ecoansia, ha paura della crisi climatica, commuove il lì presente ministro Gilberto Pichetto Fratin. Successivamente, si scopre che è un’attrice, attivista, e si ipotizza che la “performance” non sia autentica. Una vittima per essere una vera vittima non deve “farla”, potremmo riassumere.
Altro recentissimo caso, le foto di donne pubblicate su “Mia moglie”, a insaputa e senza consenso. Dopo le petizioni contro la “vergogna social”, Meta ha chiuso la community, 32mila iscritti, poi riapparsa su Telegram. La domanda è cosa spinga i maschi a condividere e visualizzare immagini di mogli, o presunte tali, intime ma non solo: in costume da bagno, che cucinano o che si rilassano sul divano. “Violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti”, la motivazione della chiusura.
Colpisce, misurando la gravità dei fatti, che sia passata sotto minor clamore la morte per asfissia di Leonardo, membro di una community i cui membri si mascherano da cani, trovato davanti al computer con la maschera antigas, forse per un gioco erotico letale. Qui la vittima è deceduta, oltre che umiliata, ed è un ragazzo probabilmente immaturo. Due condizioni che dovrebbero aumentare la nostra compassione. Ma la presunta volontarietà rende la vittima correa e non più tale.
In tutti i casi, considerazione finale, siamo nel campo della violenza sessuale. Campo largo, beninteso. Per esempio, sono stati arrestati tre minori vicini alla ndrangheta dopo quasi due anni di violenze di gruppo ai danni di un’altra minorenne. Un incubo aggravato dalla di lei famiglia che voleva farla ritrattare. In questi casi la vittima lo è di un reato, molto spesso commesso da un maschio immigrato, che è “culturalmente motivato”. Lo scrive Questione Giustizia, rivista di Magistratura Democratica: gli stranieri trovano nel nostro Paese una pluralità di reati diversi e sono portatori di un bagaglio culturale che nessuno può sequestrare alla frontiera.
Lo si legge anche in due assoluzioni di Corte d’appello, quella di due nigeriani che hanno sottoposto le figlie neonate a mutilazioni genitali, quella della coppia romena di un campo nomadi che picchiava le figlie, metodo educativo “ereditato dalla loro cultura d’origine”. Allora, il patriarcato (ma perché non maschilismo?) appare ideologicamente equivoco ai danni della vittima. Soprattutto a pochi giorni dall’italiana rapinata, malmenata (frattura di due costole) e violentata in un parco da un 26enne del Gambia, in Italia dal 2016, che ha chiesto asilo politico e ottenuto un permesso di soggiorno.