Gli anniversari sono un appuntamento che ciascuno può manipolare come gli fa più comodo. C’è chi sceglie di celebrarli con enfasi forse superiore al necessario. Ma può succedere anche che un anniversario passi quasi inosservato. Nei prossimi mesi, in vista del 3 febbraio, c’è da aspettarsi che verranno ricordati i 160 anni del trasferimento da Torino a Firenze della capitale del regno d’Italia. E anche se fu un fatto transitorio durato appena sei anni resta comunque una ricorrenza importante per lo sviluppo di Firenze. Poco o nulla, invece, s’è detto in questi giorni del centosessantesimo anniversario di quella che è stata definita “la prima strage di Stato”. Il 21 settembre 1864, appena si seppe che alla loro città veniva tolto il ruolo di capitale del regno, i torinesi manifestarono il proprio malcontento. I carabinieri reagirono subito sparando e la conseguenza furono due giornate di sangue con più di 50 morti e almeno 150 feriti.
Pochi libri raccontano i tragici eventi di Torino. Tra questi vanno sicuramente segnalati “La strage impunita. Torino 1864” di Valerio Monti (Savej, 151 pagine, 15 euro) pubblicato nel 2014 e il più recente “Torino 1864. La prima strage senza colpevoli dell’Italia unita” di Enzo Ciconte (Interlinea, 200 pagine, 14 euro). Altre pagine da non perdere vanno cercate con un po’ di pazienza nei volumi dedicati alla storia del capoluogo piemontese. Per esempio “Torino” a cura di Valerio Castronovo edito da Laterza. Oppure l’importante saggio di Umberto Levra “Dalla città “decapitalizzata” alla città del Novecento” pubblicato nel settimo volume della “Storia di Torino” di Einaudi.
Tutte le ricostruzioni confermano che la strage del 1864 fu uno degli eventi più vergognosi dello Stato unitario. Tanto per cominciare il trasferimento della capitale era stato imposto nella cosiddetta convenzione di settembre dalla Francia di Napoleone III. La scelta di Firenze (dopo aver scartato l’ipotesi di Napoli) doveva essere il segnale che l’Italia rinunciava a fare di Roma la propria capitale. L’accordo non piacque al re Vittorio Emanuele II che dovette subirlo obtorto collo. Ma soprattutto non piacque ai torinesi per molte ragioni tra cui anche l’obbligo di trasferirsi per i dipendenti statali. La protesta del 21 settembre fu inizialmente pacifica e per molti aspetti patriottica. Si gridavano invettive contro il governo Minghetti succube dei francesi e s’inneggiava a Garibaldi. Lo slogan ricorrente era “Roma o Torino” a dimostrare che la perdita della capitale poteva essere accettata se si fosse realizzata l’unità nazionale. La violenta reazione dei carabinieri provocò la sommossa del giorno successivo. E di nuovo i carabinieri aprirono il fuoco in maniera scomposta uccidendo persino alcuni soldati che stavano arrivando di rinforzo. Nessuno verrà punito. I 58 carabinieri che la magistratura militare aveva rinviato a processo vennero tutti assolti. L’inchiesta parlamentare non ebbe conseguenze. E per chiudere tutto arrivò un’amnistia. Restano una lapide in piazza San Carlo a ricordo delle vittime e i segni indelebili dei proiettili sotto il monumento a Emanuele Filiberto.