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Sovranisti vs globalisti? Ora la contrapposizione è fra atlantisti e multilateralisti

Lo scontro reale è sempre più ormai tra atlantici (magari un po’ riluttanti come Donald Trump) e multilateralisti di fatto a trazione cinese. L’analisi di Lodovico Festa

 

Nel 2024 si è votato un po’ in tutto il mondo. Tra le varie elezioni politiche ne ricordiamo le principali: Gran Bretagna, Portogallo, Corea del Sud, India, Austria, Giappone, il voto per l’Europarlamento seguito da quello “politico” di Francia, Belgio, Messico, un paio di Länder orientali della Germania, Georgia, Moldavia, Ceylon, Bulgaria, Lituania e presidenziali americane.

In linea di massima hanno subito flessioni i partiti al governo (tranne in Messico) e due issue hanno avuto più rilevanza: immigrazione e guerra. C’è chi ricorda pure le conseguenze del Covid (2020-2021): una guerra sostanzialmente vinta, ma – come avviene spesso – con i vincitori che hanno finito per pagare i prezzi della vittoria. In Europa i trend guerra/immigrazione hanno favorito le destre con l’eccezione del crollo dei conservatori britannici. Nelle aree di confino con la Russia (dalla Moldavia alla Georgia ai Länder orientali della Germania) la paura per la guerra (al di là della Lituania: altro luogo dove la sinistra ha vinto), ha alimentato un voto per organizzazioni politiche pro Cremlino. Mentre la paura/influenza di Pechino non ha orientato il voto di Taiwan ma ha pesato sia nella rivolta antigovernativa in Bangladesh sia nel voto di Ceylon sia in parte in Giappone e in Corea del Sud.

Le difficoltà di leadership degli Stati Uniti e la crisi di Francia e Germania hanno dato qualche carta a Pechino e una a Mosca, pur affannata per lo sforzo bellico (per contrastare l’incursione ucraina nell’area di Kursk ha dovuto persino mobilitare forze armate nordcoreane). L’India di Narendra Modi ha letto con attenzione i messaggi che le sono arrivati dai suoi elettori e dal mondo (l’attentato di Hamas del 7 ottobre teso a bloccare l’Imec – il corridoio che doveva collegare India, penisola arabica ed Europa mediterranea – e le operazioni degli Houthi per conto dell’Iran per controllare il Mar Rosso e indebolire così Nuova Delhi, la rivolta in Bangladesh e il voto a Ceylon), e ha risposto con un atteggiamento più distensivo verso Pechino. Qualche incertezza si è manifestata poi nell’asse Taiwan, Corea del Sud e Giappone.

Queste sono le coordinate di una situazione nella quale c’è chi si concentra ancora sulla dialettica sovranisti-globalisti, mentre lo scontro reale è sempre più ormai tra atlantici (magari un po’ riluttanti come Donald Trump) e multilateralisti di fatto a trazione cinese. In Italia i filocinesi mascherati da multilateralisti vengono sempre più allo scoperto: dai circoli di amici di Romano Prodi a settori del postcomunismo più o meno assimilato dal Pd, agli sventati seguaci di Giuseppe Conte. Si leggono prese di posizione di politici e studiosi (molto istitutoconfucionamente orientati) che chiedono equidistanza tra Pechino e Washington. E al fondo questo è l’orientamento di Pedro Sanchez e di ambienti influenti della Spd.

È aperta dunque una partita complicata che in diversi casi, anche per la manipolazione di fattori economici gestita da Pechino con abilità, viene quasi rimossa.

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