Da tempo si era capito che la vecchia e ragionevole soluzione dei “due popoli, due Stati” per affrontare in maniera giusta e permanente l’esplosiva situazione in Medio Oriente, era stata archiviata.
Impossibile sognare il dopo, se intanto la realtà del 7 ottobre 2023 – giorno dell’orrore con la strage di israeliani in Israele ad opera dei terroristi di Hamas -, lasciava un segno profondo e indelebile di sfiducia nella possibilità stessa di convivenza pacifica tra lo Stato ebraico e i palestinesi senza Patria.
Tale sfiducia si è addirittura ampliata da tempo e ancor più radicata fra le parti in causa dopo la reazione del tutto sproporzionata e perdurante da parte di Tel Aviv con l’offensiva militare scatenata nella Striscia di Gaza e la tragica conseguenza di altre migliaia di innocenti, stavolta palestinesi, morti, feriti, affamati. Sono stati colpiti non solo i colpevoli e i complici di Hamas, che tengono ancora in ostaggio – lo si tende a dimenticare -, israeliani rapiti e torturati, ma anche bambini, anziani, donne e persino i fedeli dell’unica chiesa cattolica. Le vittime di una guerra sempre più insensata.
Ma adesso l’ipotesi geopolitica congelata a causa del sangue e dell’odio dominanti su qualsiasi sforzo diplomatico di un’intesa almeno per far cessare le armi, rischia d’essere sepolta per sempre.
Senza ascoltare le pur pressanti richieste di fermarsi fatte dai governi e dai Paesi occidentali amici e alleati di Israele, tra i quali l’Italia, il primo ministro, Benjamin Netanyahu, non lascia, ma raddoppia il conflitto.
Il suo nuovo piano prevede non solo l’avanzata nella Striscia con carri armati e 60 mila riservisti già richiamati, ma anche il grande insediamento (circa 3.400 unità abitative) per dividere in due la Cisgiordania. Così impedendo in concreto la potenziale realizzazione di uno Stato unito di Palestina. Un corridoio progettato apposta per decine di migliaia di coloni per spezzare il territorio e trasformare in utopia il celebre “due popoli, due Stati”, ripetuto dalle maggiori personalità politiche e istituzionali del pianeta.
Ma a lui, Netanyahu, basta l’appoggio di Donald Trump, il presidente statunitense che lo ha da poco definito “un eroe di guerra”.
D’altra parte, è un complimento ricambiato, se si ricorda che un mese fa l’eroe di guerra aveva candidato il suo ammiratore al premio Nobel per la pace.
Mentre Netanyahu ordina “negoziati immediati” per il rilascio degli ostaggi e punta alla conquista di Gaza City per sconfiggere e sradicare Hamas, con una dichiarazione congiunta 21 Paesi, Italia compresa, condannano l’autorizzazione data dal governo d’Israele agli insediamenti in Cisgiordania (“inaccettabile violazione del diritto internazionale”).
Intanto, secondo un’inchiesta del Guardian, quotidiano britannico, l’83% delle persone uccise a Gaza risulterebbe essere civile. L’esercito israeliano smentisce e ribatte: gli autori dell’articolo “mancano di competenze militari di base”. Guerra anche delle parole e dei numeri, nell’incendio in Medio Oriente che il mondo non riesce a domare.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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