E così la redazione de Il Sole 24 Ore ha sfiduciato il terzo direttore su quattro in nove anni. A febbraio 2011 Riotta. A ottobre 2016 Napoletano. A novembre 2020 Tamburini.
Nei primi due casi c’ero e ho votato la sfiducia. Fui io personalmente, contro il parere del cdr dell’epoca, a chiedere e far passare in assemblea di redazione il voto sulla fiducia a Riotta. Quanto a Napoletano sapete tutti da chi sono partiti gli esposti.
Tutti e tre sono stati sfiduciati ma per motivazioni diverse, sia chiaro.
Tuttavia i voti di sfiducia, per quanto sintomi di un malessere profondissimo e duraturo, non sono la cura della malattia che da oltre un decennio affligge il giornale di Confindustria.
La malattia è la progressiva perdita di autorevolezza, di credibilità, di professionalità.
Il voto di sfiducia non può risolverla. È solo un atto chirurgico, non una terapia.
Sino a quando la redazione del giornale sarà devastata dalla guerra per bande, dall’assunzione e/o promozione di complici e incapaci – purché fedeli al direttore o al potente confindustriale politico bancario o assicurativo di turno -, dalle genuflessioni, non ne potrà venire mai fuori dalla spirale verso il basso in cui si è avvitata. Anche il voto di sfiducia in un contesto simile assume il mero ruolo tattico di un messaggio alla proprietà che non imposta però un dialogo reale e strategico sui problemi concreti della testata. È una negazione, non una proposta.
Ho visto personalmente troppi cdr usare il richiamo all’indipendenza della redazione solo come paravento per trattare da posizioni di minor debolezza con l’azienda e con la proprietà, per poi continuare a fare gli affari propri e dei propri amici interni ed esterni al giornale come se nulla fosse.
Questo non assolve Riotta Napoletano o Tamburini dai loro errori, differenti e diversamente gravi.
Ma non assolve nemmeno chi al Sole crede che basti sfiduciare un direttore perché una testata che continua a perdere copie possa recuperare credibilità tra i lettori. Serve ben altro, ma occorre pagare un prezzo di indipendenza che sinora non si è voluto pagare.
Chi credeva che bastasse l’hashtag #Solenuovo non lo ha voluto capire quattro anni fa e continua a non volerlo capire oggi.
Post pubblicato sul profilo Facebook di Nicola Borzi