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Siria, ecco vincitori e vinti. L’analisi di Mercuri

L'analisi di Michela Mercuri sulle ultime vicende in Siria con le posizioni dei maggiori Stati

Le ultime settimane sono state decisive per il futuro della martoriata Siria e per quello dello Stato islamico, che della guerra siriana è stato uno dei protagonisti indiscussi. L’avanzata turca nel nord del paese ha scompaginato un equilibrio precario, mentre l’uccisione del leader dello Stato islamico Al-Baghdadi lascia numerosi punti interrogativi. Sono molti gli attori interni ed esterni coinvolti che da tempo presidiano il territorio siriano. Chi ha vinto e chi ha perso, per lo meno fin qui, questa partita decisiva?

L’indiscusso vincitore è Assad, inizialmente in grande difficoltà e soccorso dall’alleato Putin nel 2015 che è intervenuto direttamente nel conflitto siriano per salvare le sue basi strategiche nel paese. Oggi Assad ha ricompattato sotto al suo controllo gran parte del territorio senza troppa fatica ma sfruttando al meglio, nel tempo, il gioco dei propri alleati. Putin in primis ma anche l’Iran e gli Hezbollah libanesi che hanno combattuto al suo fianco per salvaguardare i propri interessi nell’area.

Anche Putin esce indubbiamente rafforzato dai recenti eventi. Da parte in causa, già con il vertice di Astana del 2018, a cui aveva fatto sedere intorno allo stesso tavolo la Turchia e l’Iran – attori che neppure con un notevole sforzo di immaginazione avremmo immaginato “fianco a fianco” per lo meno in un tavolo di trattative – si è auto proclamato “mediatore indispensabile”. La pax putiniana ha trovato il suo apice nel vertice di Sochi in cui, dopo 7 difficili ore di colloqui, ha trovato la “quadra del cerchio” con la Turchia che ottiene il controllo di un territorio di 120 km di estensione e 30 di profondità, già sottratto alle forze curde del Ypg con l’offensiva turca “Fonte di pace” delle scorse settimane. Un punto a favore del Cremlino che, seppure con qualche incertezza sulla solidità di questo status quo, visto che dovrà ricoprire il difficile ruolo di “cuscinetto” tra turchi e curdo-siriani, al momento può definirsi il paciere diplomatico di una situazione incandescente.

Erdogan ottiene ciò che voleva, la distruzione di ogni velleità curda in Siria, grazie al coinvolgimento di Mosca. Tuttavia non ha ancora risolto i problemi dei curdi in Turchia. Una vittoria a metà che tra l’altro non è riuscito a conseguire da solo ma con l’aiuto diplomatico della Russia e il via libera americano. Un via libera che probabilmente ha visto il suo ok definito dopo la promessa turca di offrire su un piatto d’argento la pelle di al-Baghdadi al presidente americano Trump. Non è un caso se il Califfo si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche e non è un caso se la sua cattura sia avvenuta a pochi giorni dalla promessa del ritiro delle truppe Usa.

Su Trump potremmo parlare, nella migliore delle ipotesi, di una vittoria a metà. Certo a lui i meriti dell’uccisione del terrorista più ricercato al mondo, ma la palla sta comunque a Erdogan e a suoi alleati. Il Sultano, insieme a russi e ai lealisti siriani, dovrà decidere il destino dei jihadisti, molti dei quali in fuga dalle carceri dei curdo – siriani. Se pensiamo che fu proprio lui ad aprire, per lo meno fino al 2015, le cosiddette “autostrade della jihad, che dalla Turchia portavano in Siria nuova manovalanza per l’Isis, c’è poco da star tranquilli.

Tra gli sconfitti si potrebbe annoverare l’Isis. Ma le cose potrebbero prendere una piega completamente diversa. Gli uomini agli ordini di al-Baghdadi sono estremisti sunniti che, abbandonato il progetto “statuale”, hanno ripiegato verso la guerra all’espansione sciita. È probabile che qualcuno ne prenderà il posto, tenendo in piedi l’organizzazione, cambiandone, magari, il nome ma non gli obiettivi, così come è stato per lo stesso Califfo che iniziò la sua ascesa dopo la morte di Al Zarqawi, uno dei più importanti leader di Al Qaeda. A tal proposito si parla già di Abdullah Qardash“, ex ufficiale di Saddam, passato anche lui nelle prigioni americane di Camp Bucca, fiocina dei più celebri terroristi degli ultimi anni. Non sarà, dunque, la morte di al-Baghdadi a fermare il terrorismo.

Chi perde davvero questa partita, oltre ai curdi siriani, sono però le istituzioni sovranazionali che hanno mostrato ancora una volta la loro totale incapacità di gestire le complesse dinamiche del Medio oriente, sempre più in mano agli Stati. L’Onu è fin qui stato uno spettatore inerme che con lo sguardo chino ha osservato i player mondali giocare a risiko con la Siria e con le vite dei siriani. L’Europa, terrorizzata dai migranti detenuti in Turchia, per paura di una rapida apertura dei rubinetti, ha definitivamente abdicato a qualunque ruolo, rilasciando flebili e misurate condanne utili a salvare la faccia ma di fatto rimaste lettera morta, come buona parte delle risoluzioni emanate negli ultimi anni in Siria come in Libia e in altri teatri.

(estratto dal blog di Mercuri)

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