Anche la NATO è in una fase delicata: l’ammiraglio Fabio Cavo Dragone, che guida il comitato militare della NATO, ha detto al Financial Times che l’alleanza sta considerando azioni “più aggressive” nei confronti della Russia in campo cyber. Non soltanto reazioni agli attacchi russi, ma azioni “preventive” da considerare come “difensive”.
Parole che la propaganda russa, a Mosca e in Italia, ha presentato come una provocazione, perfino un sabotaggio dei negoziati in corso con gli Stati Uniti.
Come è ovvio, il capo militare di un’organizzazione di difesa a guida americana non esprime opinioni personali e men che meno si mette a provocare o sabotare le tattiche degli azionisti di maggioranza della NATO. E’ chiaro che le parole di Cavo Dragone fanno parte di una strategia.
Addirittura dal 2016, la NATO classifica gli attacchi ibridi, come quelli che i russi compiono regolarmente a infrastrutture e reti di telecomunicazione, alla pari di attacchi militari che possono attivare la difesa collettiva prevista dal famoso articolo 5: un attacco a un membro è un attacco a tutti.
Negli ultimi mesi questi attacchi sono diventati più difficili da gestire, sia in Europa che in zone di influenza contese, come i Paesi dell’Africa dove la Russia manipola con grande facilità il dibattito pubblico in funzione antioccidentale (vedi report di ECFR).
La NATO, come lascia intendere Dragone, non ha le strutture e il quadro giuridico – e probabilmente le capacità autonome – per agire in modo proattivo. Ma ci sta ragionando.
Finora la risposta cyber alla Russia è stata delegata agli Stati nazionali. Dunque l’ammiraglio Cavo Dragone vuole rassicurare qualche Stato membro sul fatto che la NATO lo proteggerà. La Polonia, per esempio, è molto preoccupata, come la Lettonia, dalle interferenze dalla Bielorussia, Stato vassallo di Mosca.
Oppure Cavo Dragone vuole dissuadere qualche Stato membro dal prendere iniziative autonome che ora potrebbero essere destabilizzanti?
O forse vuole semplicemente provare a ricostruire in campo cyber quel potenziale di deterrenza della NATO che in campo militare non è davvero credibile, per il ridotto impegno americano e l’incapacità europea di sopperire?
Lo capiremo, di sicuro anche la mossa di Cavo Dragone va letta sulla scacchiera della partita finale dove tutti i giocatori si stanno posizionando per le mosse decisive. Alcune pedine dovranno essere sacrificate.
Il primo indiziato a essere immolato sull’altare della tregua – o della resa dell’Ucraina – è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che ha dovuto sacrificare il suo capo di gabinetto potentissimo, Andrii Yarmak, travolto dallo scandalo di corruzione che sta indebolendo il governo in modo forse irreversibile.
(Estratto da Appunti)




