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Si stava meglio quando c’era il Pci?

“Lo rifarei. Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure” di Francesco Riccio letto da Tullio Fazzolari

 

C’era una volta il Pci… Ed era un grande partito che, per i suoi meriti e per il suo senso dello Stato, aveva la stima e il rispetto anche degli avversari. Con tutta la più buona volontà non si riesce a vedere altrettanta ammirazione verso la sinistra di oggi, perfino da parte di chi la vota. I motivi, tra scissioni, polemiche interne e segretari che cambiano troppo spesso, sono materia su cui politologi e opinionisti possono sbizzarrirsi. Ai profani resta la sensazione che ci sia una sorta di crisi d’identità e che manchi qualcosa per aver un vero partito.

Quello che c’era ai tempi del Pci e che adesso purtroppo non si vede lo racconta benissimo Francesco Riccio con “Lo rifarei. Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure” (Strisciarossa, 248 pagine, 15 euro). E’ la cronaca di un lungo viaggio all’interno del Pci che comincia all’inizio degli anni settanta e prosegue fino al 2001. Per tre decenni Riccio, accantonando la prospettiva di fare il medico, si dedica totalmente a lavorare per il partito. Gli esordi avvengono a palazzo Marescotti in via Barberia a Bologna, sede storica del Pci, dove per parecchio tempo si occuperà della comunicazione. Ma è soprattutto un efficiente organizzatore e questo lo porta a diventare nel 1988 il responsabile delle feste nazionali dell’Unità. Mantiene l’incarico fino al 1994. E in quegli anni la festa dell’Unità è un vero e proprio kolossal che attira persone da tutta Italia. Poi diventa fino al 1999 tesoriere e per il rigore amministrativo si guadagna il soprannome di “Dottor No” e chiude la sua esperienza di partito nel 2001 come responsabile del Mezzogiorno. Per inciso, vale la pena sottolineare che Riccio non ha mai l’ambizione di diventare parlamentare. Lavorare per il partito gli è sembrato più utile. Ed è un approccio che si ritrova in “Lo rifarei”. Non è semplicemente la storia di una carriera. E, anche se scritto in prima persona, non è un’autobiografia. Riccio preferisce raccontare le cose che ha visto e soprattutto le persone che ha incontrato.

E qui sta l’attualità del libro perché è la descrizione di un mondo che c’era e che non c’è più. Dovrebbero far riflettere l’impegno, la dedizione e lo spirito di sacrificio con cui donne e uomini o, più esattamente, compagne e compagni si dedicavano al partito. E avveniva a tutti i livelli: dalla giovane segretaria di sezione Paola Sarti a Francesco Neri, precedente responsabile della festa dell’Unità. Era politica ma animata dalla convinzione di fare qualcosa per realizzare gli ideali in cui si credeva. Colpisce anche la capacità del Pci nei primi anni ’70 di tenere insieme vecchi militanti e giovani ex contestatori ed è una saldatura che oggi, non soltanto a sinistra, sarebbe quanto mai necessaria. Punto di aggregazione, per recuperare identità, possono essere solo dei valori condivisi e una vera partecipazione dei militanti. Con un po’ di ottimismo Francesco Riccio ci crede ancora e quasi come incoraggiamento dice che rifarebbe tutto quello che ha fatto.

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