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Parisi

Setteottobre svelerà anche gli aiuti del Qatar alla Fratellanza musulmana. Parla Stefano Parisi

Conversazione di Start Magazine con Stefano Parisi, presidente dell'associazione "Setteottobre" che sarà presentata ufficialmente domenica 21 gennaio a Roma

A poche ore dal lancio ufficioso, lo scorso dicembre, erano oltre duecento le personalità che avevano aderito all’associazione “Setteottobre”, ma il numero crescerà inevitabilmente domenica 21 gennaio quando il sodalizio sarà presentato ufficialmente a Roma in un evento che si terrà alle 10.30 presso la Sala Umberto di via della Mercade 50.

Nata sull’onda emotiva del terribile pogrom compiuto da Hamas in Israele tre mesi e mezzo fa, l’associazione esprime la volontà dei suoi fondatori – Stefano Parisi, Anita Friedman, Daniele Scalise, Andrée Ruth  Shammah, Luigi Mattiolo, Pierluigi Battista, Ilaria Borletti e Gabriele Albertini sono solo alcuni tra i promotori – di costituire e amalgamare un gruppo di lavoro che si dedichi ad un’azione volta a “contrastare la marea montante del negazionismo, delle falsificazioni, dell’odio antisemita, per riaffermare il diritto di Israele a difendersi e lavorare per la difesa dei valori democratici”.

Tra i protagonisti di un appuntamento, quello della capitale, che ha programmato gli interventi anche di Attila Somfalvi, analista politico del think tank INSS di Tel Aviv, di Ali Waked, direttore del canale arabo iNEWS24, e di Alexandre Del Valle, esperto della Luiss e dell’IPAG Business School di Parigi, c’è anche lo stesso Stefano Parisi, manager, imprenditore e presidente della neonata associazione.

Parisi, cosa è stato il 7 ottobre per lei?

Quel massacro di ebrei, il più grave dopo la Shoah, è stata una ferita per tutti noi. Ma quello che ha fatto davvero paura è stata la reazione al 7 ottobre di un pezzo importante dell’Occidente che si è schierato con Hamas, costringendoci ad assistere al prepotente ritorno dell’antisemitismo, che è shoccante ed è il motivo che ci ha spinto ad agire.

Con quale intento?

Credo che i bambini che nasceranno in questi giorni ci chiederanno tra vent’anni cosa abbiamo fatto noi per frenare questo odio verso gli ebrei che, alla fine, è un odio verso noi stessi. Pertanto attraverso la nostra associazione ci prefiggiamo di contrastare quanto più possibile l’onda drammatica scatenatasi dopo il pogrom di Hamas.

Dopo il 7 ottobre gli ebrei in Occidente e anche in Italia si sentono in pericolo.

Tutti gli ebrei della diaspora, ovunque essi siano, stanno vivendo un momento drammatico che pensavano fosse almeno in parte superato. C’era sì del residuo antisemitismo, ma non a questo livello, tale da sconsigliare agli ebrei di uscire da casa. Oggi girare con la kippah mette chi lo fa in pericolo in tutte le capitali occidentali. E questo accade dopo che Israele ha subito il più devastante attentato terroristico della sua storia. Paradossalmente dunque, nonostante siano le vittime, gli ebrei diventano un bersaglio. Ed è parimenti clamoroso che dopo un violentissimo attentato il consenso per Hamas anziché diminuire cresca.

Cosa fa più paura tra l’antisemitismo islamico che ha occupato la scena anche nelle piazze occidentali e quello dello stesso Occidente?

Non farei una gerarchia dell’odio. Ma l’antisemitismo islamico lo conoscevamo: è quello che individua negli ebrei il simbolo, ma potremmo anche dire la punta dell’iceberg, di un Occidente detestato nel suo complesso. Si odia Israele e il suo popolo perché hanno successo, perché hanno tanti brevetti scientifici, tanti premi Nobel, sono tutte cose che fanno letteralmente impazzire i musulmani. Il problema però è un altro.

Quale?

Mi riferisco a ciò che segnaleremo pubblicamente domenica, ossia al fatto che ora questo sentimento ostile penetra nelle nostre società, nelle nostre università e a breve anche nelle nostre istituzioni, attraverso i lauti finanziamenti veicolati dal Qatar al network della Fratellanza Musulmana.

E l’antisemitismo degli occidentali? Non preoccupa anche quello?

Naturalmente sì, ci preoccupa. Non solo perché stiamo parlando dei nostri colleghi, o compagni di scuola, ma soprattutto perché queste persone sono le stesse che poi ritroviamo commosse agli eventi della Giornata della Memoria. L’antisemitismo lo ritroviamo poi sulle pagine dei nostri giornali quando le informazioni fornite da Hamas vengono considerate attendibili. E lo riveniamo nelle nostre università quando un preside o l’assemblea degli studenti autorizzano la conferenza di un terrorista. Questo è l’antisemitismo più inquietante perché penetra nelle nostre menti tutti i giorni attraverso quei telegiornali che mostrano nel dettaglio la sofferenza dei civili di Gaza senza dare altrettanta visibilità a quella vissuta dagli israeliani il 7 ottobre.

Poi c’è l’antisemitismo della politica, quello ad esempio di un ex presidente grillino della Commissione Affari Esteri del Senato che su X ha rilanciato la vignetta di un disegnatore giordano che ritrae il premier israeliano Netanyahu come un macellaio.

Ma dai grillini ci aspettiamo di tutto! A me però preoccupa di più l’ambiguità di una leader come Elly Schlein che pur guida un partito dove militano personalità come Piero Fassino che hanno, come si suol dire, fatto i conti con la storia. Mi preoccupano da quella parte le opinioni di chi ad esempio è convinto che ci sarà la pace quando Netanyahu sarà stato cacciato, addossando così sulle spalle di Israele ogni responsabilità e dimenticando che i palestinesi dal 1948 non hanno mai – come recita la famosa frase di Abba Eban – perso l’occasione di perdere un’occasione (per la pace). Ciò detto, ci sono comunque tantissime persone che appartengono a quel campo che ci stanno dando una mano.

Dall’altro lato dello spettro giungono invece segnali incoraggianti: inequivocabile ad esempio la solidarietà espressa ad Israele dal governo Meloni. Però non era così una volta.

È vero, non era così una volta, ma bisogna pur dire che la vicinanza a Israele è stata una costante dei governi di centrodestra della Seconda Repubblica. Ma io non ne farei una questione di appartenenza politica, come dimostra il consenso trasversale incontrato dalla nostra iniziativa.

Il vostro sogno? O almeno gli obiettivi che vi prefiggete?

Noi ci proponiamo di incalzare la politica. I propositi come le nostre attività sono molti, ma se c’è un traguardo che ci prefiggiamo è quello di fare assomigliare il nostro Paese a quella Germania che, dopo il 7 ottobre, si è adoperata con fermezza per circoscrivere il fuoco dell’antisemitismo con un impegno appena culminato con la difesa dello Stato di Israele dall’assurda accusa di genocidio mossagli dal Sudafrica in quel processo farsa che si sta svolgendo all’Aia.

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