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Primo Maggio

Scuola, dove serve un’operazione verità

L'intervento di suor Anna Monia Alfieri

 

Un chiarimento è necessario sulla questione degli IRC: nell’ambito della scuola le posizioni estreme sono sempre inopportune, comprese le esternazioni violente sui social.

Un presupposto importante è la solidarietà che si deve in ogni caso a chi è ingannato e in Italia la categoria docenti lo è da sempre.

Normalmente, nel mondo, avviene come segue: ci si laurea in economia, ci si si abilita alla professione di commercialista, ma a) senza la pretesa di impiantare il proprio studio o di essere assunto in uno studio associato sotto casa; b) senza disperarsi se – essendo il quartiere o la propria magari piccola città già satura di commercialisti – sarà cosa pacifica esercitare la professione in altra città o Regione.

Non si comprende perché la professione di docente debba rispondere a logiche diverse da quelle della domanda e dell’offerta.

La pervicacia del docente che – unico tra i lavoratori mondiali – deve essere stabilizzato sotto casa e magari andare al lavoro a piedi è perlomeno singolare.

Certamente occorre essere solidali con docenti che da più di 15 anni insegnano e necessariamente chiedono di essere stabilizzati.

Diversa è la situazione di chi esce fresco di laurea da un Istituto Superiore di scienze Religiose senza mai essersi posto la più banale delle domande: “Quando sarò laureato, ci saranno cattedre? Dove saranno collocate?” Come se la scarsità o il limite della domanda potesse essere incrementato dall’abbondanza dell’offerta: alla denatalità e al numero limitato di Corsi e di studenti avvalentisi alle lezioni di Religione Cattolica dovrebbe corrispondere – secondo la logica di questi neo laureati – un aumento esponenziale di cattedre IRC.

Chi insegna come precario da 15 anni mai potrebbe accettare di essere sorpassato dal neo laureato sicuro di firmare il contratto come docente di IRC all’indomani della discussione della tesi. Miracolo!

È evidente che non esistono battaglie vinte: tutti sono vittime e colpevoli di un sistema che ha ingannato gli aspiranti docenti IRC, promettendo posti di lavoro inesistenti o, peggio, non mettendo a tema con gli iscritti alla laurea in Scienze Religiose le reali prospettive di lavoro. Evidentemente occorre un’Operazione Verità.

Del dramma IRC sono quindi responsabili a) lo Stato che non ha bandito concorsi, b) gli studenti che hanno puntato al posto sicuro senza guardarsi intorno, c) gli Istituti Superiori di Scienze Religiose e chi per loro che non hanno chiarito nero su bianco la non coincidenza tra laurea, idoneità e posto fisso nella Scuola Pubblica Statale e Paritaria Italiana.

Senza contare il dramma dei drammi: la Scuola Italiana ancora rifugge dai concetti di autonomia, valutazione, qualità, propri di qualsiasi logica di buona gestione.

Nello specifico, per quanto riguarda l’insegnamento della religione Cattolica, autonomia, valutazione e qualità passano nelle mani degli stessi studenti che – se non incontrano docenti veramente validi e convincenti quanto a professionalità, serietà, capacità – si ritirano in buon ordine, non senza l’opportuno passaparola sulla convenienza o meno di frequentare la lezione di IRC….

Un po’ di storia, per chiarire la situazione.

In Italia dal 2004 (anno in cui fu indetto l’ultimo concorso) i docenti di religione risultano tutti precari. Certamente questa condizione impedisce anche solo di avere la certezza economica per accendere un mutuo. Una situazione dolorosa, subìta pesantemente dai più fragili come tutte le ingiustizie, con la logica dello scaricabarile e della ricerca del capro espiatorio di biblica memoria, che in questo caso non è (soltanto) il ministro di turno.

Infatti, se per un aspetto i ministri non hanno indetto il concorso, per un altro si sono prodotti circa 15mila docenti precari, tra 70% e 30%. Motivo: se in una diocesi ci sono 10 cattedre di religione, 7 sono coperte da docenti di ruolo, e tre da precari. A questi precari, il 30%, purtroppo si aggiungono quelli del 70%, in quanto dal 2004 non si bandiscono concorsi.

A questo proposito una domanda è lecita: i concorsi non venivano banditi per… pigrizia del Ministro o forse perché c’erano pressioni da parte di quanti hanno moltiplicato esponenzialmente i laureati con il titolo propedeutico all’idoneità, concessa discrezionalmente dall’Ordinario diocesano? Ai sensi di legge naturalmente.

Tre sono infatti i requisiti necessari per un docente di religione: 1) titolo (5 anni di studio); 2) idoneità concessa dall’ordinario diocesano; 3) assegnazione da parte dell’Ordinario alla scuola che ne fa richiesta. I docenti precari da anni sono spaventati non tanto dalla soluzione salomonica del concorso ordinario quanto dalla consapevolezza ormai raggiunta che a) il numero delle cattedre è insufficiente, b) l’idoneità abilitante non garantisce affatto il posto fisso.

I docenti precari del 70% lamentano che d’un tratto l’idoneità fino ad oggi conseguita non sarà più abilitante, in quanto sostituita dal concorso. Di conseguenza il timore (fondato) è che il concorso danneggi proprio i precari (quel 70%) in quanto i posti riservati sono per il 50% a chi ha più di tre anni di insegnamento e il 50% a chi ha meno di tre anni.

Lo scontro tra le due fazioni non ha senso: tra l’altro, gli studenti coglierebbero (e colgono) immediatamente i malumori e la conseguenza sarebbe, comprensibilmente, l’abbandono delle lezioni di Religione Cattolica. Già è molto tesa l’aria nelle sale professori, anche riguardo alle normali discipline: gli studenti comprendono benissimo chi odia chi… ancor peggio nei confronti tra scuole. A Milano esiste un maldestro confronto tra due celebri licei scientifici – ciascuno dei quali si considera il top a scapito dell’altro – che non fa certo onore alla classe docente, impegnata a sparlare del bene degli altri.

È sempre conveniente guardare in faccia la realtà: considerato che ad oggi le cattedre IRC disponibili da mettere a concorso sono circa 4.400 (di cui 2.200 della Lombardia), rischia di perdere il posto di lavoro chi insegna magari già da 10/15 anni. Rischio certo: il 90% dei docenti, che alla data odierna stanno insegnando, ha più di 3 anni di servizio e il 7% ha meno di tre anni. Quindi è chiaro che il concorso permetterà di passare di ruolo al 7% e danneggerà chi ha maggiori aspettative di immissione in ruolo.

Sic stantibus rebus… forse occorre imparare qualcosa da questo dramma annunciato degli IRC: è necessario un censimento chiaro dei docenti in riferimento a tutte le cattedre di ordinamento, per liberare finalmente la scuola da promesse, da campagne elettorali, da tesseramenti, ma anche dalla violenza di chi si sente derubato di una pretesa, si potrebbe affermare, comprensibile ma surreale.

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