Molti hanno paragonato lo show andato in scena a Washington, cui abbiamo assistito con stupito interesse, a un Grande fratello della diplomazia. Colpi di teatro a parte, però, se ne può trarre la conclusione correttamente sintetizzata da Giorgia Meloni e da altri come “spiraglio”: meglio una concessione in termini di diritto internazionale che il protrarsi sine die di uno stallo belligerante.
Questa lezione di realpolitik è utile per capire la vicenda vaccinale italiana, perché ricorda che anche i valori non negoziabili, come l’intangibilità dei confini nazionali, in alcune condizioni diventano tali. Sarebbe utile la apprendessero i sostenitori dell’assoluto vaccinale, che trasformano un importante presidio in un dogma, così contraddicendo il principio epistemologico su cui dovrebbero basarsi.
Ci riferiamo – per fare un esempio indicativo, quasi scontato – a Matteo Bassetti, che per replicare all’accusa di non volersi confrontare con le osservazioni di perplessità rappresentate da Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle, i due membri del NITAG precipitati ne
Facciamo un altro esempio, ricavato dall’
Facciamo un ultimo esempio. Gli animalisti che si oppongono alla sperimentazione in vivo sbagliano, perché questa pratica è ancora purtroppo necessaria alla ricerca medica. Ma se la ricerca su modelli animali è migliorata – se ne fa di meno, senza crudeltà, si sono trovati sistemi artificiali che consentono di evitarla – è paradossale merito delle bufale emotivamente sostenute dai suoi oppositori.
Parlare coi fascisti insomma, per tornare alla nostra metafora, conviene non solo per convincerli, cosa che i democratici non dovrebbero temere di fare, ma anche per inocularsi minimi germi di dubbio utili a migliorare le democrazie.
Il ministro Schillaci non ha solo gestito in maniera pecionissima la vicenda NITAG. Ha sposato il totalitarismo scientista che è un dogma del progressismo peggiore. E quindi ha commesso un errore politico, ideologico, culturale più grave degli altri ministri finiti prima di lui nelle peste.