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decreto liste di attesa

Schillaci tra vaccini e nuovi fascisti

Il ministro Schillaci su vaccini e no vax ha commesso un errore politico, ideologico, culturale più grave degli altri ministri finiti prima di lui nelle peste. L'opinione di Battista Falconi

Molti hanno paragonato lo show andato in scena a Washington, cui abbiamo assistito con stupito interesse, a un Grande fratello della diplomazia. Colpi di teatro a parte, però, se ne può trarre la conclusione correttamente sintetizzata da Giorgia Meloni e da altri come “spiraglio”: meglio una concessione in termini di diritto internazionale che il protrarsi sine die di uno stallo belligerante.

Questa lezione di realpolitik è utile per capire la vicenda vaccinale italiana, perché ricorda che anche i valori non negoziabili, come l’intangibilità dei confini nazionali, in alcune condizioni diventano tali. Sarebbe utile la apprendessero i sostenitori dell’assoluto vaccinale, che trasformano un importante presidio in un dogma, così contraddicendo il principio epistemologico su cui dovrebbero basarsi.

Ci riferiamo – per fare un esempio indicativo, quasi scontato – a Matteo Bassetti, che per replicare all’accusa di non volersi confrontare con le osservazioni di perplessità rappresentate da Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle, i due membri del NITAG precipitati nelle polemiche per presunta eterodossia medica, spiega che non si parla con chi dice bugie. Come un tempo non si parlava con i “fascisti”. Il problema, oggi come ieri, è che così si stabilisce a priori, unilateralmente, chi dice la verità o si equipara qualunque “fascista” a un violento assertore del totalitarismo. È evidente che l’antifascista siffatto, in realtà, cova in sé l’intolleranza attribuita all’avversario, proprio come fa Bassetti.

Facciamo un altro esempio, ricavato dall’esperienza del Covid. Presentare i vaccini sempre e solo come panacea taumaturgica, verrebbe da dire magica, anziché quali strumenti utilissimi, imprescindibili ma imperfettissimi, significa non solo mentire per arrotondamento, il che è scientificamente disonesto, ma fare un danno alla conoscenza, sulla quale la perplessità tenderà ad aumentare, e alla sua applicazione. E questo conferma la doverosa convenienza a “parlare con chi dice bugie”: non solo se queste sono semplici dubbi ma persino quando sono vere e proprie menzogne.

Facciamo un ultimo esempio. Gli animalisti che si oppongono alla sperimentazione in vivo sbagliano, perché questa pratica è ancora purtroppo necessaria alla ricerca medica. Ma se la ricerca su modelli animali è migliorata – se ne fa di meno, senza crudeltà, si sono trovati sistemi artificiali che consentono di evitarla – è paradossale merito delle bufale emotivamente sostenute dai suoi oppositori.

Parlare coi fascisti insomma, per tornare alla nostra metafora, conviene non solo per convincerli, cosa che i democratici non dovrebbero temere di fare, ma anche per inocularsi minimi germi di dubbio utili a migliorare le democrazie.

Il ministro Schillaci non ha solo gestito in maniera pecionissima la vicenda NITAG. Ha sposato il totalitarismo scientista che è un dogma del progressismo peggiore. E quindi ha commesso un errore politico, ideologico, culturale più grave degli altri ministri finiti prima di lui nelle peste.

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