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Scalfari

Vi racconto quando Scalfari vendette gioiosamente Repubblica a De Benedetti

La vendita del quotidiano Repubblica fondato da Scalfari a De Benedetti raccontata da Giovanni Valentini, colonna per anni di Repubblica e ora firma del Fatto Quotidiano. Stralcio tratto da “Il romanzo del giornalismo italiano” (La Nave di Teseo).

Una brutta mattina del 1989 Scalfari convocò Marco Benedetto e me a Repubblica per annunciarci formalmente la decisione di cedere il Gruppo a De Benedetti.

Fu un discorso scarno e rapido, durante il quale Eugenio tradì una qualche emozione: “Io, come sapete, non ho eredi maschi. Le mie due figlie non hanno alcuna intenzione di occuparsi di editoria. Ormai il Gruppo s’è allargato troppo per continuare a fare da solo e ha bisogno di rafforzarsi sul piano finanziario. De Benedetti è già nostro socio, è un amico e credo che sia la persona migliore alla quale possiamo passare il testimone.”

Per quanto la “voce” circolasse da tempo, per noi fu un colpo di scena. Marco e io ammutolimmo. L’operazione era decisa e non restava altro che prenderne atto. Spiega Paolo Panerai, giornalista e fondatore della Casa editrice Class, nel suo libro intitolato Le mani sull’informazione: “Quotato in Borsa, forte di un settimanale (L’Espresso, nda) che da poco aveva raggiunto l’apice della sua fortuna superando Panorama – e non se ne vedevano ancora le crepe – ricco del 50% di quello che sarebbe diventato il secondo quotidiano italiano di fatto gestito da Caracciolo e Scalfari nonostante la governance dell’alternanza ai vertici del consiglio con gli uomini della Mondadori, il gruppo L’Espresso-Repubblica era il target ideale per De Benedetti, sempre più schierato politicamente a sinistra”.

Eugenio aveva prevenduto la sua quota strategica, la seconda del patto di sindacato dopo quella di Caracciolo, spuntando per lealtà le stesse vantaggiose condizioni per lui e per gli altri soci: Aldo Bassetti, estromesso a suo tempo dalla sua famiglia per aver acquistato azioni dell’Espresso; Cristina Busi, vedova dell’imprenditore bolognese concessionario della Coca-Cola in Emilia Romagna, compresa la Riviera adriatica; l’industriale farmaceutico, Claudio Cavazza, inventore della carnitina che – secondo la leggenda – aveva consentito alla nostra Nazionale di calcio nel 1982 di vincere i Campionati del mondo in Spagna e grande collezionista di opere d’arte; Mario Ciancio, direttore-editore del quotidiano La Sicilia di Catania, proprietario di alcune emittenti televisive e poi della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, destinato a diventare nel ’96 presidente della Fieg (la Federazione editori di giornali) con l’appoggio del Principe rosso.

A Scalfari, l’affare fruttò circa 80 miliardi delle vecchie lire su un totale di 450: una “paccata di soldi”, come gli avrebbe rinfacciato in seguito De Benedetti in un’infelice e sgradevole sortita televisiva, nel gennaio 2018, durante la trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7. Ma anche Caracciolo e i soci minori, in virtù della mossa di Eugenio, realizzarono un bel guadagno. Così l’Ingegnere strapagò l’acquisto del Gruppo L’Espresso e poté finalmente far stampare “Editore”, sotto il suo nome e cognome, sul biglietto da visita.

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