L’enorme spazio concesso dalle nostre chiacchiere a quisquilie come la lite tra il governatore De Luca e il presidente Meloni, o anche alla presunta censura subita da Roberto Saviano alla Buchmesse di Francoforte, dimostra come nella vita sia ineliminabile la mescolanza di alto e basso, serio e faceto. Nel frattempo, sta succedendo di tutto: le guerre in Ucraina e in Medio Oriente proseguono senza esclusione di colpi, i tentativi di arrivare a tavoli di trattativa sono timidi e incerti; abbiamo davanti un’elezione europea che dovrebbe indurci a riflettere sugli aspetti più sostanziali del confronto politico.
Invece, perdiamo tempo e fatica da un lato a ricapitolare tutti gli insulti e le parole forti pronunciate contro il presidente del consiglio, a intendere quindi che bisogna capirla, se per una volta si è sfogata in modo un po’ irrituale, e dall’altro a ricordare tutte le volte in cui il termine utilizzato da De Luca e poi al medesimo rinfacciato abbia nel dibattito politico una ricorrenza insospettata o, meglio, già rapidamente dimenticata. Non più rilevante la vicenda di Saviano, uno scrittore per il quale basta rimandare all’impeccabile pezzo odierno di Mario Ajello pubblicato sul Messaggero: ferocemente azzeccato, in particolare, quando ricorda che dopo “Gomorra” l’autore è evidentemente in cerca di ispirazione.
Così, Saviano si rimette a quella pratica di vittimismo particolarmente utilizzata dagli intellettuali e della quale è stato sempre un campione. Mauro Mazza, insediato alla partecipazione italiana alla fiera libraria, rivendica il diritto di fare turnover. Ma i romanzieri solidarizzano e, per esempio, Paolo Giordano (anche lui scrive bene ma ha probabilmente il complesso di non riuscire a ripetere il successo de “La solitudine dei numeri primi”) dice che si è inventato una scusa per non partecipare, dopo aver saputo che il collega campano non era stato invitato. Come se fosse un obbligo farlo.
Mazza ha ragione, ma è pur vero che, un po’ per stereotipo e un po’ per mancanza di alternative, la cultura di destra cui il ricambio dovrebbe fare spazio sembra sempre poggiare su pochissimi nomi come Marcello Veneziani, Alessandro Giuli, Pietrangelo Buttafuoco. Oppure sulla memoria del Bagaglino, di Pippo Franco e Lino Banfi. Di una cultura popolare, cioè, che sarebbe straordinaria e che è davvero stata la forza della destra, basti pensare ai giganti del ‘900, ridotta però nella dimensione del bar e della battuta facile.
Ricordiamo infine che gli intellettuali, tutti, vogliono sempre il forno gratis, il vitto garantito, il pasto assicurato senza assumersi alcun dovere di dimostrare la propria capacità e utilità. Lo sosteneva con vigore e successo D’Annunzio, a proposito di titani novecenteschi, lo ripetono con il piagnisteo i suoi più brevilinei epigoni contemporanei, di qualunque parrocchia culturale o ideologica.