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Berlusconi

La natura del salvinismo

Il corsivo di Paola Sacchi.

 

Orvieto, la mia città di origine, città difficile (ancora nella Ztl con qualche snobismo radical chic e secolari frustrazioni per via dei potenti ‘Monaldi’ di Dante, dominatori fino all’isola del Giglio, poi inglobati dallo Stato Pontificio), rese omaggio a quel Matteo Salvini, causa di ogni male per tutta la stampa di sinistra, a cominciare da La Repubblica.

Non fu visto così una mattina dell’ ottobre del 2019, campagna elettorale delle Regionali in Umbria, dopo il tanto denigrato Papeete. Ma schifiltosi di spiagge per schifiltosi storici, Orvieto tributò un grande omaggio a “Matteo”, acclamato in un giorno feriale, con turisti ante-Covid che si svegliavano negli hotel a mezzogiorno (una vita fa), da imprenditori, nonché da rami nobili superstiti della città “Alta e strana” (Fazio degli Uberti), ma anche dagli operai, eredi di famiglie di mezzadri, insomma quelli che in Umbria , netta divisione città e campagna, una borghesia agraria un po’ ottusa chiamava “i villani”.

Salvini galvanizzò la città, che solo certa ignoranza della sua storia può definire in tv “borgo”. Parliamo della città che custodisce la reliquia del Miracolo eucaristico Corpus Domini, per il quale fu fatto edificare il Duomo, considerato capolavoro del gotico italiano. Accompagnato da un coro “Matteo, Matteo “, il leader della Lega nazionale entrò negli chicchettosi bar di Via Duomo, dove mai fino ad allora era stato visto un leader politico nazionale distribuire volantini e parlare vis a vis con gli avventori.

Si dirà che tanto l’Umbria è un fazzoletto di terra, che il Pil ormai si avvicina al Meridione e che magari gli umbri sono “cafoni”, pur in un luogo con il più alto tasso di concentrazione italiano di monumenti e opere d’arte per chilometro quadrato. Praticamente una chiesa sovrapposta all’altra o alla stessa Cattedrale o Cattedrali. Il trionfo della raffinatezza dell’arte di cui si nutrono i popoli e la loro storia.

Sono state dette tante frescacce livorose anche da personaggi di sinistra, considerati il massimo dell’autorevolezza del Palazzo cattocomunista, della serie “quei 300.000 umbri che hanno votato Lega mi stanno qua”(così in un tweet), ma Salvini fu l’artefice vero, principale del “cambio” dopo 60 anni di un sistema di sinistra ormai sclerotizzato in quell’ ex vero fortino rosso. Altro che Marche, ex forlaniane, poi “rosate” pd. All’Umbria fu usata anche la “carineria”, diciamo così, di mandarla a votare nel 2020, proprio l’8 marzo, giorno in cui lì scattò il lockdown, per le suppletive in sostituzione della presidente regionale leghista, avvocato Donatella Tesei che staccò la sinistra di circa il 22 per cento. Guanti, amuchina, gli umbri, collegio 2, contro le previsioni di quanti speravano che in quelle condizioni, le prime applicate in una Regione all’esordio del lockdown, tornasse a vincere il Pd, premiarono comunque la senatrice Valeria Alessandrini, di Terni, una professoressa di scuola media superiore, sempre presente come militante del territorio.

Salvini era tornato a Orvieto e Todi per sostenerla il primo marzo 2020, proprio l’ultima domenica prima del lockdown del governo Conte/2. Il centrodestra è tornato a vincere, stavolta a trazione Fratelli d’Italia. Ma l’ Umbria non è più tornata rossa. Non è ovviamente il centro del mondo, ma forse un bel “meditate gente” calzerebbe per giornali che dipingono il leader leghista “sotto assedio”. Da parte di chi? Forse dallo stesso mondo politico di carta di sinistra la cui narrazione lui stesso ha contribuito con i fatti a sconfiggere.

Ora la trattativa sul toto-nomi, come Startmag aveva già scritto, ripartirà dal Viminale chiesto per lo stesso Salvini dai suoi. Conclusione del consiglio federale svoltosi ieri a Montecitorio. Nel segno di una Lega che resta nazionale, anche nell’immagine plastica sulla sede del vertice: Roma e non come di solito Via Bellerio a Milano. Giancarlo Giorgetti è stato chiaro: “Salvini è il candidato naturale per il ministero dell’Interno”.

Abbiamo citato Orvieto e il caso Umbria, non per campanilismo, ma solo per rendere meglio l’idea, attraverso il racconto di un microcosmo rispetto a tutto il resto, della trasversalità dei consensi che Salvini riuscì a raccogliere con la sua Lega nazionale, oltre il Po, come una sorta di moderna Dc, più che come un partito sullo schema del Fronte nazionale di Marine Le Pen, ammesso che i paragoni con i modelli esteri siano sempre calzanti. Quel modello di trasversalità di consensi Salvini lo ottenne prima del Covid, prima che certe politiche durissime di lockdown del ministro Roberto Speranza e poi l’impegno di responsabilità nel governo Draghi di emergenza nazionale, che senza la Lega e Forza Italia non sarebbe mai nato, gli costassero un salasso di consensi. E il tutto alla fine dentro un quadro aggravato dalla guerra di Putin all’Ucraina, dall’emergenza energia, il caro bollette, i colpi della crisi. Protestare è sempre più facile e fruttuoso in momenti così che governare.

A FdI ora l’onore ma anche l’onere della prova. Con tutto il centrodestra di nuovo insieme. Anche se come si afferma in una nota della Lega al termine del consiglio federale “la stagione dei tecnici è finita”. Sulla stessa linea è FI. Come dire a Giorgia Meloni: già dato.

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