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Salvini, Draghi e la corsa al Colle

Dietro lo scontro nell'esecutivo si staglia, come ormai sarà inevitabile da qui ai prossimi mesi, la corsa per il Colle, nel febbraio del 2022. La Nota di Paola Sacchi

 

Fanno trapelare subito “irritazione” per la decisione di Matteo Salvini, al solito accusato di irresponsabilità, per l’astensione della Lega sul decreto riaperture. Ma in realtà più che temerlo sembrano già loro stessi auspicare un “mini-Papeete”.

Pd e 5s, messi a dura prova dal video di Beppe Grillo sulla vicenda giudiziaria del figlio, danno ora l’impressione di ricompattarsi attorno al desiderio, inconfessabile, di buttar fuori la Lega dal governo.

Ma Salvini, nel suo stop and go di lotta e di governo – stavolta con apice di lotta sul coprifuoco, che aveva chiesto che fosse almeno posticipato fino alle 23 – già nel pomeriggio di ieri – anche durante la registrazione del Maurizio Costanzo show – aveva chiaramente detto che il film stavolta non sarà lo stesso. E cioè lui la fiducia a Mario Draghi la rinnova ma gli chiede di darla di più agli italiani, dopo un anno in cui sono stati pazienti e responsabili. Insomma, la Lega intende restare al governo.

Il leghista Claudio Borghi, ex presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, a chi gli dice su Twitter di fare attenzione ai tentativi di estromettere la Lega dall’esecutivo di emergenza nazionale risponde non a caso ironicamente: “Già, non lo avevamo capito….”.

Facile individuare subito, come fa la sinistra nel tentativo di disarticolare il centrodestra, nella scelta di Salvini anche una risposta per attutire il pressing di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni dall’opposizione, che viene data dai sondaggi in crescita a scapito della Lega.

Certamente l’insidiosa concorrenza “interna” di FdI ha un suo peso. Ma la scelta del leader leghista intende soprattutto dare risposta a malumori e proteste che, nonostante, grazie soprattutto alla Lega, insieme con Forza Italia, ci sia stata un’inversione di rotta sulle riaperture dal 26 aprile, nel Paese non si placano.

È quel mondo dell’imprenditoria diffusa, degli autonomi, dei non garantiti, senza stipendio fisso che continua a manifestare, quel mondo dove la Lega trova la sua maggiore rappresentanza. Pd e 5s, inizialmente spiazzati dall’ingresso leghista, ora si ergono ai maggiori paladini del premier Draghi, che, secondo le agenzie di stampa, avrebbe fatto trapelare la sua “incomprensione” per la scelta di Salvini.

Ma c’è anche da immaginarsi che lo stesso Draghi non potrebbe amare molto, al tempo stesso, di essere oggetto del tentativo di esser messo in “zona rossa” nel senso politico, sotto tutela dell'”ala sinistra” della sua maggioranza nata senza “identità politica”.

Dietro lo scontro nell’esecutivo si staglia, come ormai sarà inevitabile da qui ai prossimi mesi, la corsa per il Colle, nel febbraio del 2022.

Salvini rispondendo ieri sera, durante la trasmissione di Costanzo, a una domanda di Annalisa Chirico, ha inevitabilmente ricordato che mancano ancora 10 mesi e ora è suo dovere impegnarsi per la salute e il lavoro degli italiani, insomma gli scopi per i quali il governo è nato. Ma ha al tempo stesso sottolineato che si batterà con tutte le sue forze perché “non ci sia un Capo dello Stato di sinistra”.

Nomi non ne ha fatti, naturalmente. Ma di fatto così ha suffragato la notizia, per quanto fosse già immaginabile, dei giochi in atto a sinistra per il Quirinale.

Secondo gossip che circolano da tempo nel Palazzo, lo scopo principale che starebbe dietro al ritorno di Enrico Letta dalla Francia, voluto dalla “ditta”, sarebbe proprio la “missione” Quirinale. Con un identikit per il successore che coinciderebbe con quello di Romano Prodi. E comunque non con quello di Draghi. Anche perché per Prodi, 81 anni, sarebbe una sorta di ora o mai più.

Ma la schiera di aspiranti “quirinabili”, sui quali Pd e 5 Stelle potrebbero convergere, non si ferma a Prodi. Nel centrosinistra viene data già abbastanza affollata la schiera degli aspiranti. E Draghi, sul cui nome invece potrebbe convergere il centrodestra, magari anche con gli stessi renziani di Italia Viva? Per una soluzione del genere nei mesi scorsi il numero due leghista Giancarlo Giorgetti, oggi ministro dello Sviluppo economico, aveva avanzato su Il Corriere della sera lo scenario dell’ipotesi della permanenza ancora di un anno del presidente Sergio Mattarella perché il suo successore fosse eletto da un nuovo parlamento, dopo le elezioni del 2023, rispondente ai cambiamenti disegnati dal referendum sulla riduzione dei parlamentari.

Mattarella ha però smentito in più occasioni, a cominciare dal discorso della fine del 2020, la possibilità che lui resti.

Ma al tempo stesso alcuni si chiedono già ora, al di là di quelle che saranno le intenzioni del premier, come potrebbe convivere una personalità del calibro dell’ex presidente della Bce, con figure sul Colle così diverse da lui come, ad esempio, Prodi molto targate politicamente a sinistra.

Comunque sarà, c’è da aspettarsi che, al di là della corsa al Colle e delle intenzioni su questo del premier che disse “resto finché il parlamento lo vorrà”, a Draghi non piacerà neppure il tentativo abbastanza evidente a sinistra ormai di metterlo in “zona rossa”. Con la Lega fuori e l’esecutivo dominato dalla sinistra a barcamenarsi per cercar numeri in Senato per sopravvivere.

I Cinque Stelle al governo hanno fatto trapelare la considerazione che “quello di Salvini è un film già visto”.

Ma suona come un’interpretazione un po’ troppo scontata. E forse anche di comodo.

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