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Ecco come Putin sta preparando la sua nuova escalation

Tutte le mosse presenti e future di Putin. L'intervento di Francesco Provinciali

Come già evidenziato, il bilaterale di Ferragosto tra Trump e Putin alla Joint Base Elmendorf-Richardson di Anchorage non ha proposto nulla di costruttivo: quel red carpet steso in onore dell’illustre ospite ha lasciato in totale imbarazzo il presidente Usa, ricordando implicitamente che dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca (e nella magniloquenza del programma elettorale) aveva affermato che la guerra in Ucraina si sarebbe conclusa in pochi giorni.

L’incontro ha semmai rafforzato le mire strategiche del capo del Cremlino, che si era presentato a quell’appuntamento ostentando una non scalfibile sicurezza. Il successivo vertice di Pechino, alla presenza dei leader del rassemblement anti occidentale con tanto di parata militare e sfoggio di potenza bellica nucleare, non ha inviato al mondo alcun segnale di distensione e di pace ma un messaggio di coesione, compattezza, minaccia e di forza.

Trump continua a tessere una tela che ricorda quella di Penelope: facendo e disfacendo, promettendo e smentendo, minacciando dazi come deterrente ritorsivo alle emergenze di una nuova geopolitica (da lui stesso incautamente provocata) deve combattere su due fronti: quello del consenso interno centrato sul progetto Maga e quello esterno, dove nelle relazioni internazionali predilige l’ostensiva mediazione con i tradizionali nemici piuttosto che rinsaldare i legami con i tradizionali alleati occidentali. Ciò ha creato non pochi problemi a Zelensky e ai leader europei: Putin si è sempre sottratto ad ogni tentativo di incontro finalizzato ad una tregua e ha continuato a bombardare l’Ucraina sommersa da attacchi crescenti di droni, dimostrando che lui la pace non la vuole se non come resa incondizionata di Kyiv e annessione dei territori, mentre la balbettante Europa tra conciliaboli, meeting e strette di mano non è andata oltre la 19° sanzione contro la Russia. Viene da chiedersi quale deterrente abbiano indotto nelle mire espansive del Cremlino le 18 precedenti, se oggi Putin conta di disporre di 700 mila soldati schierati sul campo.

Fondamentalmente Usa ed Europa non hanno saputo leggere i segnali di debolezza della Russia, che di fatto ha lasciato sul campo più vittime di quante ne abbia disseminate, nonostante la devastante distruzione del territorio ucraino, recentemente in particolare nelle regioni di Donetsk, Dnipropetrovsk, Kharkiv, Kherson, Kyiv, Poltava, Sumy, Zaporizhzhia, Nizhyn, Chernihiv e il massacro della popolazione civile. Il disimpegno di Trump, che di fatto considera la guerra russo-ucraina una faccenda che tocca all’Europa risolvere, e le incertezze dei paesi del vecchio continente hanno enfatizzato un’immagine dirompente e dilagante della Russia: Mario Draghi a cavallo del suo Rapporto sul futuro della competitività europea ha più volte ma in almeno due occasioni ufficialmente esposto un piano che – bypassando retorica e indecisione – sarebbe stato risolutivo e avrebbe mandato Mosca in default economico-finanziario: quello di evitare qualunque finanziamento indiretto della Russia attraverso l’acquisto del suo gas e del suo petrolio (sull’oro nero va registrata la recentissima analoga raccomandazione dello stesso Trump rivolta all’Europa, che fa parte del copione “vedetevela voi”). Draghi sta leggendo infatti nei piani dell’Ue più incertezze ed evanescenze che ipotesi risolute di impegno concreto.

Nel frattempo, Putin ha continuato a tessere la sua strategia a un tempo espansiva e provocatoria: con la Bielorussia ha dato il via all’esercitazione militare congiunta Zapad 2025, con l’impiego di 13 mila uomini e il dispiegamento del missile ipersonico Oreshnik, un’arma a lungo raggio in grado di essere equipaggiata con testate atomiche, presente sia a Kaliningrad che in Bielorussia. Contemporaneamente – ritorcendo spudoratamente le responsabilità verso la Nato e i paesi europei confinanti, da sempre accusati di atti di provocazione – ha iniziato a saggiare le reazioni del paesi limitrofi con la violazione dei loro spazi aerei attraverso l’incursione di aerei e droni senza piani di volo e con i transponder spenti: ci hanno provato in Polonia, Romania, Estonia, Lituania arrivando ad essere intercettati sopra gli aeroporti di Copenaghen e Oslo.

Il segnale è molto chiaro: da un lato l’operazione “Ovest (Zapad) 2025” potrebbe diventare una riedizione via terra dell’operazione militare speciale, (non dimentichiamo che i confini con la Finlandia sono presidiati da truppe russe), dall’altro con le provocazioni dei sorvoli oltre confine, Putin vuole saggiare le reazioni diplomatiche-politiche-militari dei paesi Nato. L’Ucraina diventerebbe una tappa intermedia di espansione in Europa: non è fantapolitica perché i segnali sono eloquenti. Si aggiunga che Putin sta tentando di condizionare le elezioni in Moldavia (le autorità locali hanno sequestrato 600 mila euro provenienti dalla Russia per comprare i voti) e si aprirebbe un fronte di accesso all’Ucraina passando da Odessa e la Transnistria.

Ma c’è una terza via che il Cremlino sta orchestrando attraverso intese o disimpegni delle forze politiche populiste ed esplicita una prospettiva di escalation che fa leva sulla disgregazione dell’unità europea (oltre che sul disimpegno scandaloso di Trump: mai l’America aveva dimostrato tanto ostracismo verso Nato, Onu, Ue e l’Occidente). Non è affatto estraneo a questa logica, che fa leva su affiliazioni ideologiche striscianti e sobillazioni popolari, ciò che sta accadendo in Francia: di fatto Macron (non solo perché dispone del nucleare) è il leader europeo più inviso al Cremlino.

Non è tempo di distinguo e disimpegni, specialmente nell’Ue: servono compattezza e unità d’intenti, l’essere unisoni nel cogliere i potenziali pericoli (uno studio Onu che pare fatto apposta per renderla ancora più debole e vulnerabile, stabilisce che in 100 ore Putin potrebbe impadronirsi dell’Europa). Ma non è neanche produttivo enfatizzare allarmismi: davvero la visione e la lungimiranza di Mario Draghi sarebbero un valore aggiunto che farebbe leva sull’intelligenza tattico-strategica piuttosto che sul frettoloso riarmo militare, inviso a molti, anche se drammaticamente necessario.

In questo momento contare sul sostegno di Trump è come perdersi nello sconquasso internazionale provocato dalla sua imprevedibilità.

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