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Giorgetti

Vi racconto la putinata della Russia sull’Italia

Nomi, fatti e misfatti dei putiniani d'Italia. I Graffi di Damato

 

Pur con tutti gli esperti – militari, civili, filosofi, politici, giornalisti, persino artisti che affollano i nostri studi televisivi, e che tragicamente non riescono quasi a mai a tenermi sveglio sino alla fine delle loro trasmissioni di giro – non sono mai riuscito a farmi un’idea esatta – sino a ieri – del punto in cui fosse arrivato Putin nella sua cosiddetta “operazione speciale” in Ucraina. Se si fosse spinto troppo avanti con le sue truppe, di leva e no, o fosse rimasto troppo indietro. Se si fosse troppo avvicinato o no, più o meno metaforicamente, a quella tragedia afghana dell’Unione Sovietica di Leonid Breznev. Che divenne poi anche la tragedia occidentale, ahimè.

Ora che l’ho visto preso, dalle unanimi cronache provenienti da Mosca, più con i problemi della politica interna italiana che con quelli della guerra in Ucraina, o dei suoi rapporti con i cinesi o con gli americani, o con i turchi, ho capito che l’uomo, il predatore, il cacciatore, chiamatelo come volete, è messo davvero male. Se ha individuato in Italia – ma in sostanza anche più in generale in Europa almeno – nel ministro della Difesa Lorenzo Guerini il falco dei falchi, l’uomo più pericoloso per i suoi sogni di gloria da Pietro il Grande piuttosto che da Lenin o da Stalin, troppo rossi per i suoi gusti, vuol dire che il povero Putin – consentitemi questo aggettivo un po’ minimalista – è ridotto a pezzi. E un po’ un giocattolo senza più le pile incorporate.

Capisco i danni che possono essergli derivati dall’interruzione per forza maggiore, e non necessariamente politica, dei suoi contatti con Silvio Berlusconi, di cui si stenta francamente a capire se soffrono più i rapporti familiari che quelli politici di centrodestra, come forse ci ostiniamo un po’ in tanti a definire ancora ciò che non è più e non si capisce se e cosa potrò mai diventare da qui alle elezioni ordinarie. Ma scommettere sul mio peraltro molto amico e ammirato Lorenzo Guerini come l’uomo chiave del Pd, e di riflesso del governo di larga solidarietà nazionale affidato addirittura a Mario Draghi, ormai chiave del sistema europeo, colpendo o indebolendo il quale si può far cadere tutto, anche l’Ucraina dell’imprevisto Zelensky mi sembra francamente un’enormità.

Lorenzo Guerini è un’amabilissima persona vissuta e cresciuta nella Dc ai bei tempi della prima Repubblica, scambiato da quel disordinato di Matteo Renzi negli anni del loro forte rapporto simbiotico per un seguace del mio amico Forlani, tanto da chiamarlo Arnaldo, ma in realtà di stretta e convinta formazione andreottiana. E’ stato ed è, come preferite, la perla che Renzi, volente o nolente, ha lasciato nel Pd andandosene: altro che il toscanissimo Andrea Marcucci, che Enrico Letta si affrettò a rimuovere da capogruppo al Senato quando tornò l’anno scorso da Parigi per riprendersi il Pd da cui Renzi lo aveva fatto scappare con l’incubo dei campanelli di Palazzo Chigi da consegnare ogni giorno, anzi ogni ora, al suo spregiudicato  successore.

Non vorrei che, ridotto male com’è, agli stracci, anche nei rapporti con l’Italia dopo la crisi dei suoi rapporti con Berlusconi e con Beppe Grillo, su cui vi segnalo l’imperdibile articolo di oggi di Aldo Grasso sulla prima pagina del Corriere della Sera, gli informatori romani di Putin fossero rimasti fermi, prendendolo per buono, al fotomontaggio dell’8 marzo del Fatto Quotidiano che proponeva la coppia bene armata di Guerini e di un Draghi vagamente napoleonico. E oggi proprio il giornale di Marco Travaglio, nella sua ossessione di vedere la mafia dappertutto, in Italia e all’estero, dove abbiano saputo forse esportare la peggiore, definisce “pizzino russo” quello appena mandato come un missile da Putin a Roma, fra il Quirinale e Palazzo Chigi.

Travaglio troppo ottimisticamente-  credo – si chiede “con chi ce l’ha Putin”, sorprendendo i vecchi amici italiani del capo del Cremlino accomunati in una gustosa vignetta da Stefano Rolli sul Secolo XIX. Forse Putin avrebbe ragione d avercela semplicemente e meno pericolosamente solo con se stesso per essersi fidato tanto a lungo di quelli che in Italia ne tessevano le lodi, lo celebravano come una Santità  e forse andavano persino a farsi foraggiare.

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