La repentina inversione di rotta della politica estera dell’amministrazione Trump, che ha completamente cambiato il fronte statunitense dopo 80 anni di “Guerra Fredda” e di contenimento della Russia imperiale prima sovietica, ora dittatoriale, sta minando le relazioni transatlantiche, a lungo considerate i pilastri della stabilità globale. Tutti i membri della Nato ed i partner europei si trovano ad affrontare una crisi senza precedenti, determinata da una crescente sfiducia e da priorità strategiche divergenti tra Stati Uniti ed i suoi alleati storici.
L’immediato stallo delle trattative sulla pace, poi diventata tregua di 30 giorni, mai accettata dal Cremlino che pretende la capitolazione dell’Ucraina, hanno portato il segretario di Stato Marco Rubio a dichiarare che, se non ci saranno chiari segni di progresso verso un accordo di pace, gli Stati Uniti porranno fine ai loro sforzi di mediazione tra Russia e Ucraina. “Dobbiamo determinare nei prossimi giorni se questo accordo può essere raggiunto a breve termine. In caso contrario, penso che andremo semplicemente avanti. Non continueremo questi sforzi per settimane e mesi”. Il presidente Trump afferma che l’Ucraina avrebbe dovuto arrendersi alla Russia ed a giorni alterni incolpa il presidente Zelensky di aver scatenato la guerra. Ma se l’Ucraina avesse voluto arrendersi, avrebbe potuto farlo direttamente e senza la sua “intermediazione finanziaria”. Evidentemente, per l’attuale amministrazione statunitense, un’Ucraina (non presente ai negoziati e sostenuta dall’Europa) che non è disposta ad arrendersi, rappresenta un ostacolo ad un nuovo e per molti aspetti destabilizzante, rapporto di collaborazione con la Russia. Si avvicina la possibilità che gli Stati Uniti ritirino definitivamente il loro sostegno all’Ucraina? Allo stesso tempo, continua la pressione su Kyiv affinché firmi un accordo sulle risorse minerarie ed energetiche che favorirebbe gli interessi statunitensi ma non offre ancora sufficienti assicurazioni per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina.
La domanda che ci si continua a porre è: come si può spiegare questo avvicinamento degli Stati Uniti alla Russia? Cosa lega l’amicizia del presidente Trump con il suo omologo Vladimir Putin? Le teorie abbondano, soprattutto quelle cospirazioniste, ma sicuramente il presidente Trump non è un agente segreto della Russia. Non siamo di fronte ad una versione aggiornata dell’Ochrana, come è stata descritta nel best seller “Storia del Kgb” di Christopher Andrew e Oleg Gordievskij.
La strategia del presidente Trump, piuttosto che far cessare l’aggressione russa attraverso un accordo che assicuri una pace giusta e duratura, sembra essere principalmente orientata a trasformare la Russia in un alleato degli Stati Uniti. E l’ennesima prova di questo obiettivo è arrivata a febbraio, quando gli Usa hanno votato nuovamente insieme agli altri Stati dell’asse dell’autoritarismo, contro la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite A/79/L/75 sulla cooperazione tra ONU e Consiglio d’Europa, che condanna la Russia per l’invasione e l’occupazione dell’Ucraina e tratta sullo status della Russia, espulsa dal Consiglio d’Europa nel marzo 2022.
VERSO LA SPARTIZIONE DELL’ARTICO TRA I DUE NUOVI ALLEATI?
L’ipotesi di un’invasione russa delle isole Svalbard è emersa tra gli scenari degli analisti e si è diffusa a Oslo, da quando il presidente Donald Trump ha reso note le sue ambizioni sulla Groenlandia. Esiste un accordo segreto tra Casa Bianca e Cremlino, del tipo la Groenlandia agli Stati Uniti, le Svalbard alla Federazione Russa? A gennaio, dopo i dirompenti discorsi che hanno palesato la nuova politica estera dell’amministrazione Trump, un deputato russo, membro della Commissione Difesa della Duma, durante un programma sul canale russo 1 ha dichiarato: “la guerra nell’Artico è iniziata. Essendo le Svalbard il punto debole della nostra Flotta del Nord, dobbiamo costruire basi militari in quelle isole”.
Le Svalbard sono un arcipelago di isole del Mar Glaciale Artico, e rappresentano la parte più settentrionale della Norvegia e le terre abitate più a nord del pianeta Terra, con meno di 3.000 abitanti. A differenza del restante territorio norvegese, le isole Svalbard sono un’area non incorporata della Norvegia e non fanno parte dell’area Schengen, né dello Spazio economico europeo e nemmeno dell’Unione nordica dei passaporti. L’arcipelago situato a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord, territorio di sovranità politica di Oslo, mediante un Trattato che risale al 1920 permette ai suoi firmatari (oggi sono 48) di sfruttare le sue risorse naturali “su un piano di assoluta parità”. Il Trattato delle Svalbard, noto anche come Trattato di Spitsbergen, è un accordo internazionale unico nel suo genere, che regola lo status dell’arcipelago del Mar Glaciale Artico. Firmato nel 1920 e in vigore dal 1925, il Trattato rappresenta un esempio di cooperazione multilaterale per la gestione di una regione strategica e ricca di risorse, sempre più accessibili a causa dello scioglimento dei ghiacciai causato dal cambiamento climatico.
Nonostante la maggior parte delle miniere di carbone siano abbandonate, l’arcipelago vede la presenza di una elevata e crescente percentuale di cittadini russi che vi risiedono permanentemente, sostenuti dai sussidi federali erogati dal Cremlino. Una presenza stabile e strategica, che consente a Mosca di rivendicare le sue ambizioni sul territorio. Anche la Chiesa ortodossa russa è interessata alle Svalbard, recentemente designate come “terra ortodossa”.
La Cina si è posizionata costruendo una stazione scientifica nel 2004. Di recente organizza viaggi per “turisti” che sventolano bandiere rosse della Repubblica Popolare Cinese nei social media.
La lungimirante Turchia ha aderito al Trattato sin dal 1920. Il presidente Erdogan, coerentemente con la dottrina della “profondità strategica”, continua ad imprimere alla politica estera turca una precisa connotazione che ambisce ad assumere un ruolo di protagonista di primo piano delle relazioni globali. Recentemente ha esercitato il diritto di acquistare terreni, aprire miniere e condurre ricerche scientifiche nelle Svalbard, incrementando la propria influenza strategica nella regione artica.
NUOVI SHOCK GEOPOLITICI
In un libro pubblicato nel 2024, The Retreat from Strategy (Hurst Editions), due autorevoli esperti militari descrivono dettagliatamente come Russia e Cina potrebbero prendere il controllo dell’arcipelago norvegese Svalbard. Approfittando di una delle esercitazioni congiunte nella regione, le navi da guerra russe e cinesi potrebbero improvvisamente invadere e prendere il controllo dell’arcipelago – sorprendendo sia gli americani, troppo impegnati nel Mar Cinese Meridionale – che gli europei, assolutamente sotto equipaggiati, divisi da interessi nazionali divergenti e non preparati ad un conflitto artico.
Coloro che oggi rispondono che un’invasione russa contro l’Europa è altamente improbabile, sono probabilmente gli stessi che non credevano possibile l’offensiva lanciata a marzo 2022 dal presidente Putin con l’”Operazione Militare Speciale”.
Parimenti, nell’attuale contesto geopolitico, chi e cosa potrebbe fermare, per esempio, un piano degli Stati Uniti per sovvertire il governo della Danimarca ed annettersi la Groenlandia? Oppure, un’azione militare per riprendersi con la forza il Canale di Panama?
Pechino, da parte sua pensa che gli Stati Uniti sono intenzionati ad intraprendere azioni militari per il controllo di Panama e/o della Groenlandia, e di conseguenza Xi Jinping si prepara ad attaccare Taiwan.
Stando così le cose, diventa più probabile, piuttosto che meno, che la Cina faccia un calcolo strategico sul fatto che potrebbe presentarsi il momento ideale per colpire uno dei suoi vicini. L’attacco potrebbe avere come obiettivo le Filippine nel Mar Cinese Meridionale, o le contestate isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale, o forse la stessa Taiwan. In ogni caso, Pechino ritiene che Trump, sempre più isolato dagli alleati occidentali, non abbia alcuna intenzione di intervenire in difesa di Taiwan e scatenare una guerra mondiale per impedire le azioni della Cina o di invertirle una volta completate. E comunque sarebbe sopraffatto senza l’intervento della Nato.
Lo tsunami geopolitico scatenato dall’asse del male delle autocrazie, ora alimentato anche dalle tensioni associate alle politiche dell’amministrazione statunitense del presidente Donald Trump, stanno provocando una ricalibrazione dei rapporti tra l’Unione Europea e gli Usa, sollevando interrogativi sulla sostenibilità dell’alleanza transatlantica in un’epoca di incertezze economiche, geopolitiche e strategiche senza precedenti.
In questi scenari, anche la storica Alleanza Transatlantica è in pericolo?