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Governo Gialloverde

Roma-Bruxelles sulla manovra? La resa dopo la guerra. I Graffi di Damato

Che cosa sta succedendo nella trattativa fra il governo di Roma e l'esecutivo di Bruxelles? La Nota di Francesco Damato

 

Dopo quattro ore di vertice a Palazzo Chigi significativamente disertate dall’importante sottosegretario leghista alla presidenza Giancarlo Giorgetti, dati i rapporti ormai interrotti col vice presidente grillino Luigi Di Maio, il governo gialloverde ha definito la nuova linea difensiva su cui si è attestato nella “guerra” a Bruxelles. Che fu praticamente dichiarata tre mesi fa, a settembre, quando esso decise di portare al 2,4 per cento il deficit del 2019 rispetto al prodotto interno lordo.

L’attestazione su una nuova linea difensiva era la formula con la quale Benito Mussolini cercava di nascondere le tragiche ritirate italiane nell’ancor più tragica e scriteriata guerra mondiale abbracciata per inseguire la vittoria di Hitler, considerata inevitabile e addirittura imminente.

Per non risalire a vicende cosi lontane e drammatiche, il clima di governo di questi giorni può ricordare quello delle edizioni di centrosinistra, a cavallo fra gli anni 60 e 70, gestite da Mariano Rumor per conto della Dc e da Francesco De Martino per conto del Psi, dopo il quinquennio del binomio Aldo Moro-Pietro Nenni. Allora di De Martino, vice presidente del Consiglio e segretario socialista, il compagno di partito e sindacalista Fernando Santi, spalleggiato dall’urticante Sandro Pertini, soleva dire a noi giornalisti, seduto sui divani del transatlantico di Montecitorio, che resisteva alla Dc “fermamente sino a un momento prima di cedere”.

Chi abbia ceduto di più, fra i grillini e i leghisti, nella nuova linea difensiva definita nell’ultimo vertice tagliando ulteriormente le spese contestate dalla Commissione Europea, è obiettivamente difficile dire per il carattere evasivo delle dichiarazioni rilasciate dai protagonisti. Matteo Salvini, per esempio, invitato a spiegare meglio il rinnovato impegno a “non calare le brache” per evitare la procedura europea d’infrazione per debito eccessivo, ha avuto la disinvoltura di rispondere: “Non abbiamo parlato di numeri. Di questo ragiona il presidente del Consiglio Conte con Juncker”. Che è il presidente della Commissione Europea dallo stesso Salvini accusato, all’inizio delle ostilità sulla manovra finanziaria, di non essere “sobrio”, cioè di avere l’abitudine di ubriacarsi.

Emilio Giannelli, il vignettista del Corriere della Sera, ha tuttavia trasmesso con la sua matita sulla prima pagina del giornale italiano più diffuso l’impressione che fra i due sia stato Salvini ad essere uscito meglio dal vertice, spingendo Di Maio a buttarsi giù dal balcone di Palazzo Chigi. Dove il giovane capo del movimento delle 5 stelle aveva festeggiato con i suoi compagni di partito la decisione appena imposta al governo di sforare il deficit di bilancio sino al 2,4 per cento del pil. In quella occasione, in effetti, Salvini evitò di partecipare alla festa prevedendo le difficoltà di quella scelta, ma senza per questo evitare di concorrere poi pure lui alla “guerra” con frasi più o meno truculente, come l’impegno di non arretrare “di un millimetro”.

Anche al Fatto Quotidiano -peraltro reduci dall’infortunio di un ennesimo attacco a Silvio Berlusconi “stragista” cavalcando rivelazioni giudiziarie di un suo incontro nel 1995 col mafioso Giuseppe Graviano, che era però finito in carcere già l’anno prima- debbono avere avvertito gli affanni di Di Maio. Al quale hanno dedicato la “cattiveria” di giornata sulla prima pagina scrivendo che il vice presidente grillino del Consiglio “dimentica la virgola” del 2,04 per cento, cui il governo ha dovuto ripiegare dal 2,4 per cercare di evitare la procedura europea di infrazione, “e porta il deficit al 204%”.

Le cifre degli arretramenti, rinunce e quant’altro non potranno comunque rimanere a lungo nascoste o indefinite perché il governo è obbligato a presentare in brevissimo tempo le modifiche al bilancio inutilmente approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato. Che si è in qualche modo consolato col tradizionale concerto di fine anno nell’aula di Palazzo Madama, presente il capo dello Stato, dell’avvilente spettacolo di un documento così importante scritto e riscritto altrove, da ratificare infine col ricorso al voto di fiducia. Vale lo stesso discorso naturalmente per la Camera, dove il bilancio dovrà tornare, e sono ugualmente risuonate le note di un concerto natalizio. La musica, si sa, aiuta, almeno fuori dalle discoteche, vista la recente tragedia nelle Marche.

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