Evoca il fascismo usando la parola camerata. Evoca con la seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, anche un certo razzismo dell’età di cui la fase della cosiddetta rottamazione, considerata suo fiore all’occhiello, era provincialmente intrisa. Mentre nell’Anglosfera si può diventare presidenti anche a 80 anni, secondo le regole della democrazia e della meritocrazia.
Inutile girarci intorno e stupirsene più di tanto, tirando in ballo ogni volta la sua intelligenza e presunta capacità di grande stratega: Matteo Renzi da molto tempo ormai non fa più centro. Persa l’occasione alla guida del Pd di fare il Tony Blair della situazione, quel Blair che lui indica come modello e alla cui fondazione l’ex premier e ex segretario del Pd collabora, quel Blair che però nel New Labour seppe far convivere la nuova maggioranza con la minoranza radicale; persa l’occasione di fare le riforme perché portate avanti con una formula personalizzata e calata dall’alto, Renzi, nel quale una parte del Paese aveva legittimamente riposto qualche speranza, si è poi ridotto a ingaggiare duelli nel centrino con Carlo Calenda. Quel centrino che si proponeva di richiamare Mario Draghi in servizio, dopo averlo portato in sella con una di quelle manovre di Palazzo che sono la sua specialità.
Poi la sua Iv è stata persino decisiva nel mandare a processo Matteo Salvini per una decisione politica presa da ministro dell’Interno con il governo Conte 1. Un pollice verso insieme con quello del Pd e dei 5 stelle e nel giorno in cui si rinnovavano i vertici delle commissioni parlamentari. E anche quella scelta, da cui sonoramente, unico nel centrosinistra, si dissociò Pier Ferdinando Casini, di mandare a processo Salvini è stata respinta seccamente al mittente e ai mittenti politici.
A differenza del leader leghista, vicepremier e titolare del Mit, che si è complimentato con l’ex premier per il proscioglimento nel caso Open, Renzi non lo ha fatto quando Salvini è stato pochi giorni dopo assolto con formula piena su Open Arms. Anzi ha continuato a attaccarlo con qualche sfottò.
Renzi nel frattempo ha cercato di rifare centro tornando a casa nella sinistra lanciando inviti, finora pare inascoltati, a Elly Schlein e ostacolati da Giuseppe Conte.
In politica si vince e si perde. Sono epoche in cui dal 40 si può anche precipitare velocemente al 2 per cento. E come suggerì Silvio Berlusconi in un’epoca di bipolarismo, da lui stesso fondato, lo spazio di Renzi non poteva che stare nel centro del centrodestra in una convivenza con FI. Che, contrariamente alle, anche qui errate, previsioni del leader Iv, con Antonio Tajani ha resistito alla scomparsa del suo presidente, fondatore anche del centrodestra.
Ecco, ma tutto questo che appartiene alla politica nei suoi alti e bassi che c’entra con l’alto tasso di nervosismo a cui il senatore di Rignano, non esattamente “Il Fiorentino” (il soprannome attribuito a Mitterand, evocando Macchiavelli), si è lasciato andare in aula al Senato contro la seconda carica dello Stato? Che giustamente non gli ha neppure replicato. Tranne una battuta ironica: “Ascoltatelo in religioso silenzio”.