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Reggio Calabria

Il terremoto di Reggio Calabria e Messina

Il post di Marco Foti

Non bastano i ricordi a descrivere l’immensa tragedia che colpì Reggio Calabria e Messina, ancora vivi in alcuni quartieri delle due città metropolitane. Sono trascorsi un secolo, due lustri e due anni da quel 28 dicembre del 1908. Ed ancora le città soffrono dei ritardi di pianificazione ed urbanizzazione. Ma questo è un altro capitolo.

La storia non deve andare perduta, ricordava sempre una mia insegnante di italiano dell’istituto tecnico Giancarlo Vallauri di Reggio Calabria. E la storia è oggi protagonista dei ricordi, grazie alle ricerche dell’associazione ANASSILAO, che riporto integralmente nei passi più significativi.

“La scossa sismica durò appena 37 o 40 secondi, divisa in tre fasi distinte, alle ore 5:20:27 locali pari a 7,1 della scala Richter (11° grado della scala Mercalli), seguito dopo circa cinque o dieci minuti da un maremoto le cui onde sulla costa calabrese raggiunsero un altezza massima oscillante tra i 6 e gli 11 metri circa nel tratto da Gallico Marina (zona nord di Reggio) a Lazzaro (frazione del comune di Motta San Giovanni) con un massimo all’incirca di 13 metri a Pellaro (quartiere meridionale di Reggio)”.

“Come scrivono le cronache cittadine dell’epoca (cit. Canonico Rocco Vilardi) a Reggio Calabria il 27 dicembre c’era una temperatura mite, sciroccosa. Il mare, dalle cui profondità si sarebbe di lì a poco scatenata la tragedia, era placido, quasi piatto, d’un colore quasi irreale. Qualche giornale aveva appena pubblicato una poesiola irriverente, quasi blasfema, che invocava un terremoto”.

“Nessuno conosceva ancora la confessione che il Cardinale Gennaro Portanova, Arcivescovo della Città dal 1888 fino alla morte avvenuta il 25 aprile del 1908, aveva fatto ad un amico pochi giorni prima di morire: «ho il presentimento della mia fine non lontana. Così non mi strazierà la vista delle rovine di questa povera città. Se la rovina viene ed io non sarò più di questo mondo, recate un po’ della vostra energia fra gli sventurati»”. Un presentimento che si avverò a distanza di otto mesi dalla sua morte.

“La tragedia provocò un numero di morti stimati tra gli ottantamila e i centomila, la distruzione pressoché totale di Messina e Reggio Calabria e di altri centri piccoli e grandi tra le due sponde dello Stretto con la perdita irreparabile di un ingente patrimonio architettonico e artistico”. La fine di un periodo storico in quanto l’evento condizionò per anni l’economia e le dinamiche demografiche delle aree colpite, che furono caratterizzate da un momentaneo spopolamento al quale seguì un flusso migratorio richiamato dalla richiesta di manodopera necessaria alla ricostruzione.

Il ricordo è dovuto per un duplice motivo: il primo per non dimenticare le tante vittime, ancora oggi molte senza un nome o una collocazione. Il secondo affinché l’uomo non dimentichi la tragedia dello Stretto che segna l’inizio dell’azione dello Stato italiano per la riduzione degli effetti degli eventi sismici, attraverso l’introduzione della classificazione sismica del territorio e l’applicazione di specifiche norme per le costruzioni nei territori classificati.
È del 1909, infatti, il primo Regio Decreto contenente norme valide per l’intero territorio nazionale, un grande sacrificio di vite umane.

Oggi, più che mai, le due città metropolitane guardano ad un’area integrata dello Stretto, un’area che ha tutte le carte in regola per essere un’area conurbata sebbene divisa da un tratto di mare. Ma anche questa è un’altra storia a cui riserverò lo spazio necessario.

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