Sono cose assolutamente diverse la guerra della Russia all’Ucraina – con annesse le posizioni italiane sull’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato – e il proscioglimento perché il fatto non sussiste del governatore della Lombardia, il leghista Attilio Fontana, nella cosiddetta vicenda camici. Eppure, se l’atlantismo, il posizionamento euro-atlantico al quale Mario Draghi ancorò la sua nuova maggioranza già nel discorso di insediamento, segnando discontinuità con il suo predecessore Giuseppe Conte, è destinato a segnare la cifra di una coalizione, anzi, delle coalizioni del futuro, anche il garantismo, la fine del processo politico-mediatico, di piazza, prima ancora di quello vero, dei tribunali, dovrebbe essere la cifra di un Paese e di una politica chiamata a fare un salto di civiltà, “atlantico”, si potrebbe dire, in senso giudiziario.
Ma la notizia del proscioglimento di Fontana, per la cui vicenda gli avversari politici avevano chiesto addirittura il commissariamento della Lombardia, almeno fino a ieri sera è caduta nel silenzio da parte di quella stessa sinistra (esponenti Pd e Cinque Stelle lombardi hanno detto: “Fontana continua a essere inadeguato”) di cui il partito principale il Pd al suo vertice si è posizionato per l’Ucraina sull’asse euro-atlantico.
E sulla giustizia? Asse con i Cinque Stelle, seppur il Pd appoggi la riforma Cartabia? Che però anche alla luce dei fatti rischia di rivelarsi insufficiente. E qual è la posizione che il Pd avrà sui referendum del 12 giugno?
Se da un lato la Lega e il suo segretario Matteo Salvini, peraltro anche ieri a un’udienza del processo Open Arms, sono assimilati nel mainstream sulla guerra al “pacifismo-populismo” di Conte, diventa più complicato fare la stessa equazione sulla giustizia, essendo la Lega promotrice con i Radicali dei referendum del 12 giugno. Sui quali è calato il silenzio di giornali e tv e per i quali, a differenza del passato come avvenne per tutte le altre consultazioni dirimenti dal divorzio in poi, si potrà votare solo un giorno, la domenica, ma non il lunedì successivo.
La realtà è che sulla giustizia, il tema che ha condizionato il nostro Paese dal ’92 in poi, ci sono coalizioni a zig-zag. In ampi settori della sinistra, tranne eccezioni più aperturiste sui referendum come quella del costituzionalista e deputato Pd Stefano Ceccanti, e della esponente di “Libertà Eguale”, Enza Bruno Bossio, schierata apertamente per il Sì, continua a prevalere l’atteggiamento favorevole alle posizioni giustizialiste. Nel centrodestra, se da un lato Forza Italia con Silvio Berlusconi anche ieri, complimentandosi con il governatore lombardo, ha denunciato l’uso politico della giustizia, “utilizzata come arma per colpire e eliminare gli avversari politici”, e la Lega con Salvini ha per prima esternato “la gioia dopo mesi di fango”, ed entrambi i partiti sono schierati per il Sì ai referendum, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni voterà in modo favorevole solo a due dei quesiti referendari.
Sarà solo l’atlantismo a ridefinire l’assetto politico italiano? O anche sulla giustizia passa una faglia destinata a ridisegnare il quadro del futuro?