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John Ratcliffe, tutte le idee del nuovo capo della Cia

Che cosa pensa il nuovo capo della Cia John Ratcliffe, su Cina e non solo

Se possibile, la nomina del nuovo direttore della Cia è ancora più significativa nel segnalare che, stavolta, l’approccio di Trump al Deep State sarà molto meno conciliante.

Per capire meglio quanto possa essere fondamentale affrontare direttamente l’apparato dell’Intelligence americana, dobbiamo fare un passo indietro fino al gennaio 2017. L’allora leader della maggioranza democratica al Senato, Chuck Schumer, durante un’intervista alla MSNBClanciò un avvertimento al nuovo presidente: mettersi contro l’Intelligence sarebbe “molto stupido”, visto che hanno “un’infinità di modi per fartela pagare”. Non ci volle molto per capire come sarebbe arrivata la vendetta delle varie agenzie che si occupano di Intelligence, dal famigerato Russiagate alle notizie imbarazzanti fatte avere ai media mainstream che fecero perdere troppo tempo prezioso all’inesperto Trump.

Per evitare il ripetersi di incidenti del genere, la scelta di un fedelissimo come John Ratcliffe sembra un segnale fin troppo chiaro: stavolta non ci faremo trovare impreparati. Il nuovo direttore della Central Intelligence Agency è una scelta molto più tradizionale, visto ha già servito nell’amministrazione Bush come capo dell’antiterrorismo e della sicurezza nazionale nel distretto est del Texas prima di essere nominato nel 2019 come direttore della National Intelligence.

Il suo compito? Riformare da zero le agenzie di intelligence che, secondo Trump, erano ormai politicizzate e compromesse. La missione, stavolta, sembra più o meno la stessa, ma con quattro anni a disposizione, invece di uno solo.

Nonostante avesse servito solo per pochi mesi, Ratcliffe ebbe il merito di capire fin da subito che le accuse di “disinformazione russa” legate al famoso portatile di Hunter Biden fossero del tutto false, cosa che è stata confermata con qualche anno di colpevole ritardo. In realtà, però, Trump ha voluto premiare il fatto che sia da deputato al Congresso sia come membro del team che assistette il presidente durante l’impeachment nel 2019, si è distinto nel difendere a spada tratta Trump e smascherare quanto labili fossero le accuse nei suoi confronti.

Il fatto di essere un avvocato che ha anche servito all’interno del Dipartimento di Giustizia sicuramente ha giocato a suo favore: Trump sa fin troppo bene che i difensori dello status quo picchieranno duro. Uno con l’esperienza di Ratcliffe dovrebbe essere almeno in grado di evitare grossolani passi falsi.

Secondo molti osservatori, il fatto di aver servito come capo del DNI dovrebbe garantirgli quell’appoggio da parte dei senatori repubblicani che gli venne a mancare nell’agosto 2019. Anche se dovesse essere confermato senza grossi problemi, avrà di fronte un compito da far tremare i polsi: attaccare le rendite di posizione, affrontare direttamente il “governo ombra” all’interno dell’Intelligence e, soprattutto, fare da scudo al presidente dai fin troppo prevedibili attacchi.

PER RATCLIFFE PECHINO MINACCIA PRINCIPALE PER GLI USA

Il segnale che il nuovo presidente vuole mandare all’esterno è cristallino: come il nuovo consigliere alla sicurezza nazionale Michael Waltz, anche Ratcliffe pensa che il Partito Comunista Cinese sia la minaccia principale per gli interessi americani nel mondo.

In un’editoriale per il Wall Street Journal del dicembre 2020, disse che “Pechino punta a dominare il mondo economicamente, militarmente e tecnologicamente. Buona parte delle grandi aziende cinesi servono solo a mascherare le azioni del PCC”. Il nervosismo della dirigenza cinese, in questo caso, sembra del tutto giustificato ma è solo uno degli aspetti interessanti di queste nomine.

Se riuscisse ad evitare che l’Intelligence agisca da quinta colonna, sabotando i tentativi di riformare l’amministrazione federale, i tentacoli di Pechino in tutto il mondo dovrebbero affrontare una resistenza ben più seria. Come notato in un articolo di Politico, Ratcliffe sarà una delle nomine politiche necessarie per portare a termine uno degli obiettivi chiave di Trump: riformare un sistema corrotto, infiltrato da attivisti democratici, nonostante le resistenze degli agenti più esperti e della tentacolare burocrazia che gestisce in maniera fin troppo allegra i budget riservati all’Intelligence.

IL NUOVO APPROCCIO DI TRUMP

L’affidarsi a persone che siano allo stesso tempo allineate dal punto di vista politico ma anche esperte e capaci di navigare le acque turbolente di Washington è un segnale di un nuovo approccio da parte di Trump. Dopo essere rimasto scottato dal “tradimento” da parte della burocrazia militare e dal sabotaggio da parte dell’Intelligence, il suo secondo mandato sarà all’insegna di uno stile molto più simile a quello tenuto in passato da presidenti come Franklin Delano Roosevelt o lo stesso Richard Nixon.

Se nel 2016 Trump si era, per così dire, “fidato degli esperti”, stavolta vorrà tenere in mano le redini in maniera più diretta, affidando ai propri nominati il compito di essere i suoi occhi ed orecchie negli infiniti corridoi della burocrazia. Questo non vuol affatto dire che il presidente si occuperà di ogni minimo dettaglio o si farà prendere dalla paranoia, come successo a suo tempo a Nixon.

Diciamo che terrà le redini più corte che in passato, affidando ad un altro dei suoi fedelissimi, il controverso Stephen Miller, il compito di verificare che le loro azioni rimangano nei confini del manifesto presentato agli elettori. Con lo staff della Casa Bianca tenuto in riga dalla Ice Maiden Suzie Wiles, la “macchina da guerra” di Trump sembra pronta allo scontro frontale con il Deep State. Se riuscirà davvero a smantellare il governo parallelo che ha reso immensamente farraginoso e costoso il governo federale lo scopriremo, però, solo nei prossimi 18 mesi.

Estratto di un articolo pubblicato su nicolaporro.it

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