La coincidenza tra i funerali dei tre carabinieri e l’esplosione dell’ordigno sotto l’automobile di Sigfrido Ranucci è tanto curiosa da sospettare che l’attentatore del direttore Rai l’abbia voluta. E ha scatenato due alluvioni retoriche, che si sono confuse nelle strade multimediali come i manifestanti Pro Pal pacifici e violenti in quelle urbane.
Ieri le solitamente sobrie parole di Stato, comprensibilmente, si sono scaldate: tra i messaggi delle autorità e quelle pronunciate ai funerali da Guido Crosetto con voce rotta dal dolore, a tratti confuse ma commoventi proprio per questo. Ancor più efficace, resterà come il meme delle esequie, l’abbraccio del presidente Mattarella al figlio di uno dei militi caduti, che aveva pronunciato a sua volta un ricordo straziante del padre. A margine dei funerali, le parole “cattive” circolano per ora discretamente e riguardano la presunta impreparazione dell’operazione con cui le forze dell’ordine si sono trovate sul luogo dell’esplosione: starà alle indagini verificarle.
Ranucci, invece, al riguardo ha già dimostrato esperienza e accortezza, spiegando come il boato sotto casa l’avesse indotto a prudenza, poiché la prima esplosione precede spesso una ancor più letale. L’ordigno era rudimentale ma cospicuo, attivato con una miccia, quando non c’era nessuno ma poco dopo il passaggio della figlia del giornalista; le indagini stanno seguendo diverse ipotesi tra i soggetti coinvolti nelle inchieste di Report.
In questo caso le parole buone dello Stato, di Mattarella, Meloni e delle massime autorità, si sono subito mescolate a quelle meno buone della politica, degli intellettuali e colleghi di Ranucci. Fino al delirio provocatorio: il deputato M5S Dario Carotenuto dice che “Il Governo è MANDANTE MORALE di questo attentato” col maiuscolo nell’originale, Roberto Saviano che “quando si trasforma qualcuno in un bersaglio pubblico, prima o poi qualcuno penserà di poter colpire anche fuori dallo schermo”, Laura Boldrini che “siamo passati dagli attacchi verbali alla stampa indipendente ai giornalisti spiati e ora siamo alle macchine esplose”, Gad Lerner de “l’Italia delle bombe e dell’intimidazione ai giornalisti scomodi: l’abbiamo già conosciuta nei tempi più bui della storia nazionale, si manifesta vigliaccamente sotto la regia di classi dirigenti sovversive” (forse la migliore), Marco Damilano un pronuncia un sintetico “La democrazia muore nelle tenebre, non ci riusciranno” degno della vecchia rubrica social “Siamo la gente il potere ci temono”.
Il senso è che querelare Report per un servizio con affermazioni false, indimostrate, calunniose e diffamatorie, ritenerlo fazioso e tendenzioso oltre i limiti tollerabili dal servizio pubblico radio-tv, criticarlo come una trasmissione a tesi preconcetta ed esposta in modo noiosamente ripetitivo, significa avere armato chi vuole uccidere Ranucci. Ne consegue che il diritto di critica e alla difesa delle persone esposte al pubblico ludibrio che si professano innocenti va subordinato alla “libertà e indipendenza della stampa”, che diventano così un valore assoluto e un diritto tiranno. Come la tutela della salute che giustificava il lockdown ai tempi del Covid.
A proposito di diritti tiranni della stampa, sono surreali anche i commenti dopo che Giorgia Meloni, accusata di parlare poco con i giornalisti e non fare conferenze stampa, ieri ha partecipato a quella dopo il Consiglio dei ministri sulla manovra: ma “a sorpresa, non annunciata”, hanno evidenziato tanti tra cui il Tg3. Peccato che delle conferenze post-Cdm i partecipanti non siano quasi mai anticipati e quindi sia stata semplicemente seguita la norma.
Che poi occorrerebbe ricordare come negli Usa, da prima di Trump, i presidenti decidano personalmente da quali giornalisti farsi fare le domande e non rispondano a tutte quelle poste, come in Italia. Dove Meloni si riserva solo il diritto, anch’esso però contestatissimo, di concedere saltuariamente interviste a giornalisti dei quali si fida: oggi l’ ha fatto con il Sole 24 ore, che però ha scioperato perché a firmare l’esclusiva è una “collaboratrice” scelta dal direttore. Ravvisiamo anche qui, francamente, estremi di delirio e di diritti tiranni.
La manovra peraltro, anche quest’anno, dà poca notizia, nel senso che i soldi sono pochi e i margini ristretti. C’è però un tema complesso e interessante – gli extraprofitti, i superricchi, i divari – che è sociale, economico, finanziario, tecnico prima che politico; e dove chi governa subisce le dinamiche, più che gestirle. Ieri ne ha parlato, intervenendo sui bassi salari, il presidente Mattarella, unico soggetto assieme al Papa cui la libertà di parola sia ancora davvero rispettata. E i due sembrano esserne consapevoli e approfittarne.