“Il divario tra Nord e Sud si sta facendo veramente esplosivo. I Paesi ricchi ne vanno prendendo coscienza con grande ritardo e a tutt’oggi non hanno ancora fatto ciò che è loro dovere di fare. L’assistenza con i Paesi poveri e in via di sviluppo è ancora troppo limitata, troppo condizionata. Non occorrono affatto grandi modifiche nei Paesi più industrializzati, nei loro stili di vita. Ciò che viene loro richiesto è un piccolo sacrificio largamente compensato da un grande vantaggio che nel medio-lungo periodo si potrà ricavare dalla crescita di nuove economie”.
Parole dell’oggi, pronunciate da Bettino Craxi 30 anni fa. A ricordarle è sua figlia Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia, presidente della commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama, al convegno internazionale della Fondazione Craxi dal più che mai attuale titolo: Alla ricerca di un ponte. Il socialismo internazionale di fronte alla questione Nord-Sud del Secondo Novecento.
Bettino Craxi, rappresentante personale del presidente dell’Onu, allora Perez de Cuellar, presentò un piano per la riduzione del debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo, approvato all’unanimità. Poi, come viene ricordato alla giornata di studi, svoltasi ieri, con relazioni di storici e esperti, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, organizzato dal comitato scientifico della Fondazione, presieduto da Giovanni Orsina, il suo lavoro si interruppe. Risultato: anche di questo, che, con l’esplosione del dramma epocale delle migrazioni e la “bomba” Tunisia alle porte, diventa tutto – notazione del cronista – ci ha privato lo stravolgimento di “Mani pulite”.
Ma, tornando al tema, l’intuizione di Craxi, che apportò un cambiamento di fondo nell’approccio del socialismo internazionale fino ad allora fermo allo schema della lotta al colonialismo dei Paesi ricchi, come ricorda lo storico Daniele Caviglia, fu quella di andare oltre lo schema del mondo diviso nei due blocchi Est-Ovest. Lo statista socialista, “vero protagonista del dialogo Nord-Sud”, come sottolinea il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, introdusse il concetto che nell’ambito della divisione della “guerra fredda” c’era il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Un divario che, come osserva la presidente della Fondazione Craxi, Margherita Boniver, neppure gli anni ’90 della globalizzazione, ritenuta soluzione di tutto, seppero affrontare. Il risultato è, afferma Stefania Craxi, che “nonostante il gran parlare che si fa dell’aiuto allo sviluppo e del sostegno ai Paesi più poveri, i conti alla fine non tornano mai”.
Spiega la presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato: “Certo che qualche Paese in questo lungo trentennio si è lasciato alle spalle la crisi del debito, che qualche altro ha imboccato la via dello sviluppo dopo anni di duri interventi e di sacrifici, che i sintomi di progresso e stabilità si sono manifestati anche nelle grandi aree di crisi dell’Asia e dell’Africa, fino all’America Latina, ma il Sud del mondo ha continuato a vivere in tutti questi anni in palese difficoltà”. E, prosegue, “da ultimo, l’invasione russa dell’Ucraina, il ritorno della guerra in Europa, inaspettata, con risvolti sul fronte energetico, della sicurezza alimentare, dell’inflazione, e con lo stato di tensione che si è creato, getta un’ombra di insicurezza sul futuro globale, mentre ha già materializzato problematiche e prodotto conseguenze di non poco conto sul quadro economico internazionale, colpendo prima di tutto i Paesi più poveri, esposti in maniera sistematica alle crisi alimentari e ad una carestia che potrebbe certamente innescare pericolose derive destabilizzanti ben oltre i loro stessi confini, mettendo a rischio la vita sociale”.
“Il riequilibrio fra i Paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati – osserva la senatrice – conserva quindi intatta la sua valenza decisiva, mantiene anche nel XXI secolo un rilievo prioritario: anzi, il nuovo contesto internazionale richiede agli occidentali e agli europei un surplus di responsabilità nell’affrontare i problemi economici e sociali del resto del mondo”. Conclusione: “Si tratta di un tragitto da compiere nella sua interezza, di un dovere collettivo, morale prima ancora che politico, che non può essere eluso: per questo riequilibrio occorrono ad un tempo iniziative sul piano dell’aiuto umanitario e strumenti capaci di dare fiato ad uno sviluppo condiviso, sostenuto; servono più risorse in una necessaria cornice di regole che ne assicurino la non frammentarietà e l’impiego efficiente, per non generare sprechi e ulteriore debito malsano, come troppo spesso avvenuto in passato”.
Al convegno arriva il messaggio del vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Il conflitto in Ucraina e le sue implicazioni globali evidenziano quanto sia necessario costruire rapporti internazionali di dialogo costruttivo e collaborazione, per preservare un sistema internazionale basato sulle regole, prevedibile e stabile: l’Italia, per storia e geografia, ha una vocazione a svolgere la funzione di ‘ponte'”, afferma Tajani. Un ruolo strategico di “ascolto, dialogo e rispetto”. Ovvero, “tratti distintivi della nostra azione diplomatica, in particolare verso la regione del Mediterraneo allargato, sulla quale richiamiamo spesso l’attenzione dei nostri Partner europei perchè sappiamo meglio di chiunque che disinteressarsi dell’area sarebbe un errore strategico, che pagheremmo con il proliferare di minacce alla sicurezza dell’intera Europa”.
“Ecco perché – spiega Tajani – insistiamo in ogni foro internazionale per promuovere l’impegno di tutti affinché il Mediterraneo torni ad essere uno spazio di pace e crescita condivisa per i Paesi che vi si affacciano”. Ricorda che “per questo, sin dal suo insediamento, il governo, con il ministero degli Esteri in prima fila, lavora per portare più Italia e con essa più Europa nel nostro Vicinato, con un’attenzione speciale per i Balcani occidentali, il Mediterraneo allargato e l’intero continente africano”.
Il ruolo dell’Italia come “Hub energetico” e il Piano Marshall per l’Africa sono i temi sottolineati dal ministro degli Esteri. Povertà significa minaccia anche alla sicurezza, preconizzava Craxi trent’anni fa. Con uno sguardo lungo anche sui rischi del fondamentalismo islamico.