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Quella Tempesta di Matteotti

“Tempesta. La vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti” di Antonio Funiciello letto da Tullio Fazzolari

 

Cento anni fa, il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti veniva rapito e assassinato a Roma sul lungotevere Arnaldo da Brescia da una squadraccia fascista. Quasi sempre, fino a oggi, le commemorazioni del martirio del leader socialista si sono concentrate sulle circostanze della sua morte. Fu un delitto politico perché gli assassini non erano squadristi qualsiasi ma un nucleo della polizia segreta fascista. E Matteotti era sicuramente l’uomo politico più temuto dal regime dopo il coraggioso discorso pronunciato il 30 maggio alla Camera dei deputati. Meno spesso viene ricordato che proprio in quei giorni stava indagando su gravi casi di corruzione come l’affare Sinclair in cui poteva essere implicata la famiglia Savoia.

Ma soprattutto assai raramente è stata dedicata la giusta attenzione alla personalità di Matteotti. Ne racconta invece la grandezza Antonio Funiciello con “Tempesta. La vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti” (Rizzoli, 192 pagine, 17,50 euro). È una biografia “ragionata” nel senso che non segue pedissequamente un criterio cronologico ma preferisce un approccio tematico. E senza dubbio è la maniera migliore per dare una visione più completa del carattere, del coraggio e della cultura di un uomo politico che non è stato soltanto un martire.

“Tempesta” è il soprannome che sin da giovanissimo viene dato a Matteotti dai compagni socialisti per lo slancio che metteva nell’azione. Con affetto e con rimpianto ricorderanno che “s’impicciava di tutto e non gli andava mai bene niente”. Ma, per quanto determinato, non era un intransigente. Tutte le sue scelte, anche quelle più rischiose, erano meditate e consapevoli.

Ed è stato così sin dagli inizi quando, a soli tredici anni, seguendo l’esempio del fratello Matteo si iscrive al partito socialista. Potrebbero vivere di rendita perché l’attività commerciale del padre ha creato un discreto patrimonio di famiglia. Ma Giacomo e Matteo non sono fatti per quel tipo di vita. E hanno sotto gli occhi le sofferenze dei braccianti del Polesine e poi di tutti gli sfruttati.

Entrambi sono brillanti studenti. Giacomo perfeziona in Inghilterra i suoi studi di giurisprudenza. Se volesse avrebbe davanti una grande carriera come avvocato. Gli viene offerta una cattedra di diritto penale ma lui rifiuta. La giustizia che gli sta più a cuore è quella sociale ed è convinto che per realizzarla non sia necessaria la violenza delle rivoluzioni.

In politica Matteotti è un riformista come Filippo Turati. E come moderato ha da subito un rapporto conflittuale con Mussolini che è invece un leader dei massimalisti. Poi Mussolini cambierà casacca diventando interventista mentre Matteotti con coerenza resta pacifista e per questo, durante la prima guerra mondiale, viene mandato al confino in Sicilia. Al rientro diventa deputato e continua la sua battaglia fino alla morte.

Nemesi storica: esattamente sedici anni dopo il suo assassinio, il 10 giugno 1940, Mussolini dichiara guerra a Francia e Inghilterra. È l’inizio della fine di quella dittatura che Giacomo Matteotti aveva cercato coraggiosamente di impedire.

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