Skip to content

Quando finirà la logomachia mondiale?

La guerra mondiale vera, fatta di bombe, droni, feriti e morti (ammazzati o per fame), sarà pure a pezzi come diceva Papa Bergoglio, ma la logomachia mondiale lo è almeno altrettanto. Guerra-e fatta-e di parole e sulle parole, certo meno cruenta-e di quelle delle armi e della violenza fisica, ma sappiamo bene come le prime possano accompagnare e precedere le seconde, quindi un po’ d’attenzione non guasterebbe.

Colpisce che a finirci in mezzo sia un personaggio finora noto per la sua riservatezza, per la prudenza e l’uso talvolta stucchevole di perifrasi ed eufemismi come Sergio Mattarella, che si è trovato accusato prima di russofobia dalla propaganda moscovita e adesso di inappropriate considerazioni contro Israele da Isaac Herzog. Il suo omologo, in un lungo post nel quale lo chiama “il mio amico” e premette “grande rispetto” per l’Italia, si dice “rattristato”, precisando che il suo Paese non uccide in modo indiscriminato. Finire tra i nemici di Putin può forse essere considerato un onore, passare da anti-sionista molto meno, anche perché si rischia l’infamante (nel caso del Presidente Mattarella, in altri è giustificatissima) accusa di antisemitismo.

C’è da dire che anche ebrei e israeliani se le stanno retoricamente dando di santa ragione tra di loro. Liliana Segre rampogna David Grossman che aveva usato, sempre a proposito della durissima risposta bellica di Tel Aviv contro Hamas e contro i palestinesi, il termine “genocidio”. La questione balla da mesi, riguarda un lemma che si porta dietro il richiamo alla Shoah e che sembra non solo sminuirne l’unicità, finora sempre strenuamente difesa, ma addirittura addossare agli eredi delle vittime di allora il ruolo di odierni carnefici.

Le parole lo fanno molto spesso, questo gioco di richiamare antiche passioni, di rinfocolare odii e sentimenti atavici, roghi che si sperava fossero estinti per sempre. Vedasi la speculare minaccia nucleare tra Usa e Russia, per ora solo un botta e risposta tra Donald Trump e Medvedev. Anche questo timore dell’escalation verso l’uso bellico dell’atomo circola da parecchio, ora però coincide con l’ottantennale di Hiroshima: la più iconica scena di guerra alla quale l’umanità abbia mai assistito (un po’ come il crollo delle Torri gemelle per il terrorismo), nonché lo snodo fondamentale che ha distorto le guerre da scontro di eserciti a distruzione indifferenziata, che colpisce più ancora le popolazioni civili. Passando per i conflitti della seconda metà del secolo scorso, Vietnam per dirne uno, si arriva così alla giustamente (ma spesso impropriamente) stigmatizzata tragedia di Gaza.

Tra le parole che richiamano passati dolorosi, Giorgia Meloni è abituata a viverci, a sentirsele lanciare contro come pietre: ci ha fatto il callo e in genere risponde con un piccato, ostentato silenzio. Accade a ogni anniversario o evento che si leghi al fascismo, ora addirittura, il che appare ancora più grave e assurdo, per la strage di Bologna. L’accusa di non usare l’attributo “fascista” per l’orrore di cui oggi ricorrono i 45 anni si lega al tentativo di parte dei memorialisti di passarne al governo in carica una parte di responsabilità morale, con una sorta di esasperato principio di conduzione.

La Cedu, Corte europea per i diritti dell’uomo, vorrebbe che le Nazioni emanassero delle norme per punire le fake news elettorali. Guardiamo con grande timore alle ingerenze dei “tribunali” nelle scelte politiche dei liberi Stati e a qualunque ipotesi di regolamentazione restrittiva delle espressioni. Sicuramente, però, un po’ di autocontrollo, parsimonia, moderazione nell’uso del linguaggio farebbe benissimo

Torna su