“Faccio molta fatica a immaginare che un trilaterale Trump-Putin-Zelensky possa esserci perché accadrebbe quello che Mosca si è sempre rifiutata di fare, cioè riconoscere e dare legittimità all’interlocutore ucraino”. Questa è solo una delle valutazioni di Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano e direttore di ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali) in una conversazione con Start Magazine.
Alaska, un vertice senza risultati o qualcosa si è raggiunto in quel luogo remoto?
Allora, l’impressione che risultati concreti e sostanziali ad Anchorage non ce ne siano stati. Ci sarebbero stati probabilmente solo laddove fossero state fatte delle concessioni molto significative a Putin, che però esce sostanzialmente vincitore da quel vertice.
In che senso esce vittorioso?
Esce vittorioso non per quel che si è deciso – si è deciso a quanto ne sappiamo poco o nulla – ma per tutta la simbologia che ha accompagnato quel vertice e per le implicazioni politiche e simboliche. Che un paria delle relazioni internazionali, almeno rispetto a come viene percepito dal mondo occidentale, venga accolto con tutti gli onori dall’America, che stende letteralmente il tappeto rosso, mi pare già un’indicazione sufficiente.
Quali altre ce ne offre?
Il fatto che Putin non abbia accettato alcuna delle condizioni che erano state poste inizialmente. Mi pare che, per considerare il vertice un successo, almeno un cessate il fuoco e un qualche tipo di accordo in questo senso avrebbe dovuto essere raggiunto. In buona sostanza è lui il vincitore simbolico di quel vertice.
Invece cosa si è verificato al vertice di Washington di due giorni dopo: un tentativo di rassicurazione degli alleati europei o qualcos’altro?
Zelensky ha chiesto di poter incontrare Trump e l’Europa si è mobilitata per lui, tanto che al vertice sono andati tutti i principali leader europei a scortarlo simbolicamente e sostanzialmente a Washington. Ma l’impressione è che nulla di sostanziale sia avvenuto in quel contesto; non si è presa nessuna decisione concreta e non si è fatto alcun passo effettivo verso la pace. Certamente però la valenza simbolica di quel summit è stata molto importante.
Quante speranze ci sono che la proposta di Giorgia Meloni di estendere l’articolo cinque del Trattato nord Atlantico all’Ucraina possa diventare realtà? E quanto invece che si possano materializzare le famose truppe occidentali?
Non ci possiamo girare attorno all’infinito, ma c’è la variabile di un’ipotetica equazione di pace, una variabile fondamentale e imprescindibile e che non è stata in nessun modo risolta. Mi riferisco al tipo di garanzia di sicurezza che viene data all’Ucraina. Garanzia di sicurezza vuol dire garanzia di difenderla in toto, e di proteggerne la sovranità anche laddove vi saranno significative concessioni territoriali a Mosca.
E sull’altro punto?
Partendo dal presupposto credo scontato che queste concessioni ci saranno, magari non formalizzate come spesso è accaduto in passato – pensiamo al caso coreano – ma che si sono poi cristallizzate nel tempo – anzi poi sicuramente non saranno formalizzate. Kyiv non confermerà un accordo in cui accetta di perdere la Crimea e men che meno il Donbass, però queste condizioni ci saranno, inutile girarci attorno. Ma tali concessioni territoriali dovranno essere accompagnate da un impegno che preveda una forte capacità deterrente e dissuasiva verso Mosca, ossia bisognerà fare in modo che se la Russia dovesse rilanciare un qualche tipo di offensiva ci sarà una risposta molto ferma.
Chi la dovrà fornire?
Questa garanzia può venire in parte dagli europei che si stanno molto spendendo in tal senso e il cui bilancio militare sta molto crescendo nel tempo. C’è un processo accelerato per dotarsi di qualche autonomia industriale nell’ambito della difesa, nel senso che gli europei si sono impegnati ad acquistare armi e tecnologie militare statunitensi da trasferire all’Ucraina.
Sarà sufficiente tale impegno?
Qui non basta quello che gli europei sono andati a dire a Washington: questa parte deve essere integrata e completata da garanzie formali che prevedano una qualche forma di coinvolgimento degli Stati Uniti.
Quante speranze ci sono che la proposta di Giorgia Meloni di estendere l’articolo cinque del trattato nord Atlantico all’Ucraina possa diventare realtà? E quanto invece che si possano materializzare le famose truppe occidentali?
Io penso proprio ad un impegno di questo tipo. Questa del resto era la partita che gli europei sono andati a giocare a Washington lanciando il messaggio che siamo qui perché siamo solidali con Zelensky; siamo qui per proteggere Zelensky da altre umiliazioni come quelle cui è stato soggetto. Siamo qui anche per incoraggiare gli Stati Uniti a fare la loro parte, sebbene Trump non sembri incline a offrire questa garanzia di cui però si è parlato esplicitamente nella capitale. Guarderei piuttosto a quella parte di partito repubblicano che ha invece in materia una posizione diversa nell’auspicio che gli Stati Uniti assumano a loro volta una posizione più ferma.
Ci sarà il secondo lei, il famigerato trilaterale con Zelensky, o Putin non ne vuole proprio sapere?
A me sorprenderebbe molto un trilaterale ma di mestiere faccio lo storico e quando mi avventuro sul terreno della futurologia raramente ci prendo. Faccio però molta fatica a immaginare che un simile trilaterale possa esserci perché accadrebbe quello che Mosca si è sempre rifiutata di fare, cioè riconoscere e dare legittimità all’interlocutore ucraino e a Zelensky in particolare e faccio molta fatica a immaginare che Putin accetti di sedersi a un tavolo con lui.
Magari trilaterale ci sarà ma non con i due leader ma con delegazioni di livello molto alto da ambo le parti. In definitiva un vertice diretto tra i due leader mediato dal presidente americano lo vedo molto, molto difficile.