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Biden

Qual è la logica della politica di Biden in Medio Oriente?

L’analisi di Roberto Santoro sulle mosse di Biden in Medio Oriente Piacerebbe capire qual è la logica dietro la mossa di Biden di rimuovere gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Da quando il 12 febbraio scorso il presidente americano ha tolto Ansar Allah – i partigiani di Allah emersi nel nord dello Yemen durante…

Piacerebbe capire qual è la logica dietro la mossa di Biden di rimuovere gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Da quando il 12 febbraio scorso il presidente americano ha tolto Ansar Allah – i partigiani di Allah emersi nel nord dello Yemen durante gli anni Novanta e che nel 2014 rovesciarono il governo yemenita dando fuoco alle polveri con l’Arabia Saudita – dalla blacklist del terrore, gli attacchi contro i sauditi sono ripresi alla grande. Una cinquantina nel giro di un mese. Anche il numero di vittime civili nello Yemen ha ricominciato a crescere, bambini compresi, come denuncia Medici Senza Frontiere. Tant’è che il Consiglio di Cooperazione del Golfo, un paio di giorni fa, è tornato a indicare lo Yemen come un elemento di destabilizzazione nella sicurezza del Medio Oriente.

Se l’obiettivo di Biden era di dare un segnale distensivo al patron degli Houthi, ovvero l’Iran, per riesumare gli accordi obamiani sul nucleare sotterrati da Trump, il risultato appare esattamente l’opposto delle aspettative Usa. Il problema dei Democratici americani è continuare a pensare che Iran e Arabia Saudita pari sono nella ‘Guerra mondiale islamica’. Da qui l’idea che gli Usa possano giocare una partita neutrale facendo da mediatore tra Riad a Teheran. Il sottinteso di questa visione fallace lo si registra ogni volta che invece di chiamare gli Houthi terroristi li si scambia per ‘ribelli’, considerando la guerra nello Yemen una propaggine delle “primavere arabe” obamiane. Da qui la tentazione ricorrente nelle cancellerie occidentali di addossare solo su Riad la responsabilità del protrarsi del conflitto yemenita.

Purtroppo le cose stanno diversamente. Da 40 anni l’Iran rivoluzionario gioca una partita molto più vasta e ambiziosa, nella quale lo scontro con i sauditi è solo un pezzo di quella strategia che dallo Yemen, al Libano, all’Iraq, alla Siria, mira a disarticolare la rete di alleanze degli Usa, per togliere di mezzo americani e israeliani dalla regione e prenderne il controllo. Significa che i “partigiani di Allah” nello Yemen combattono contro il “Grande Satana” americano anche quando lanciano razzi e missili contro i sauditi.

Gli Houthi, Hezbollah, Hamas e il resto delle bande di terroristi armate dagli iraniani non vanno gridando per strada “Morte ai sauditi” bensì “Morte all’America”, oltre agli slogan antisemiti e contro gli ebrei che conosciamo bene. E allora ecco che, mentre Biden pensa a riportare alla luce il JCPOA, gli iraniani sorridono ottimisti sulla loro aggressiva politica di dominio estesa a tutto il Medio Oriente.

Certo, come ha scritto Mohammed Khalid Alyahya sull’Independent, si può sempre sperare che la gioventù sciita in questi Paesi – compreso lo stesso Iran, dove si è esultato per l’eliminazione del generalissimo Soleimani – continui a versare il proprio sangue mettendosi di traverso all’ideologia repressiva ed espansionistica di Teheran. Ma la situazione cambierà realmente solo quando gli Usa torneranno ad avere le idee chiare su chi sono gli amici e i nemici in Medio Oriente. Biden lasci pure alla inutile Onu e alla pavida Europa il compito dei dialogatori con Teheran. Rinunci all’appeasement con i regimi islamici che serve soltanto a spianare la strada all’Iran. Così anche quei giovani ne avranno grande giovamento. Al momento, però, non sembra questa la logica della politica Usa in Medio Oriente.

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