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Stefania Craxi

Il Qatargate e i postcomunisti. Parla Stefania Craxi

Conversazione di Paola Sacchi con Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia e presidente della Commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama.

 

“Ho marchiate ancora sulla mia pelle le cicatrici di una demonizzazione violenta verso un’intera comunità politica, la mia famiglia, mio padre Bettino Craxi. Per questo non userò mai la clava mediatica-giudiziaria. Sul ‘Qatargate’ do una valutazione politica: non so se sia una nemesi, ma gli ex comunisti sono inseguiti dal fantasma di Craxi. La presunta purezza, la questione morale fu un modo per colmare il loro vuoto politico, per non essere isolati agli inizi degli 80”.

Parla, in esclusiva con Startmag, Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia, presidente della Commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama. Che avverte sulla Ue: “C’è un deficit di democrazia da affrontare, perché è la causa primaria dei mali europei”. Sull’Ucraina: “Senza gli aiuti, non esisterebbe più. Serve una pace giusta che solo il popolo ucraino può determinare”.

Senatrice Craxi, c’è un aspetto storico-politico che sembra un dettaglio ma non lo è, però assente in tutte le analisi sullo scandalo dell’eurosinistra nel Qatargate. Premesso il dovuto garantismo, i protagonisti italiani pur nel gruppo Socialisti e democratici europei, tutto hanno sul piano politico tranne che una vera identità socialista. Che il Pd (ex Pci-Pds-Ds più Sinistra Dc) pensava di aver acquisito sostituendosi al Psi di Bettino Craxi, liquidato per via giudiziaria. Una nemesi della Storia?

Non so, in tutta onestà, se si tratti di una nemesi storica. Ma se volessimo affondare le radici dell’analisi a trent’anni fa, al momento in cui la “Repubblica dei partiti” fu liquidata per mano giudiziaria, con gravi ferite al corpo istituzionale del Paese, potremmo ben dire che vale il motto “il più pulito dei moralisti ha la rogna”. Sono sempre stata e resterò fino alla fine una garantista, ho marchiate sulla mia pelle le cicatrici della delegittimazione, anzi una vera e propria demonizzazione violenta che ha colpito un’intera comunità politica, la mia famiglia, mio padre. Per questo non userò mai la clava mediatico-giudiziaria su chicchessia e, piuttosto, preferisco guardare alla vicenda con gli occhi della politica che mi inducono a valutazioni più attente e a mio avviso più preoccupanti.

Infatti, questa vicenda, ma non solo, mette in luce, ancora una volta, non solo la debolezza ormai strutturale della politica, ma come questa abbia prodotto uno sfibramento istituzionale e di rimando una permeabilità delle democrazie occidentali, circostanza che deve indurci a profonde riflessioni, specie in Italia e in Europa. Inoltre, non c’è dubbio che queste vicende – che qualcuno in Europa sbaglia nel definire riduttivamente un “caso italiano” – scavino un solco ulteriore, profondo, tra l’opinione pubblica e le Istituzioni comunitarie. Come nel 1993 venne travolto l’intero Parlamento italiano, bisogna evitare che la delegittimazione investa nel loro complesso i palazzi di Bruxelles, quel circuito istituzionale comunitario che agli occhi dei cittadini sconta già un grande deficit di democrazia. Un deficit che, come vado da tempo ripetendo, va affrontato e risolto perché è la causa primaria dei mali europei.

La responsabilità penale è individuale ma alcune figure chiave come quella di Antonio Panzeri, ex eurodeputato Pd (radici Pci-Pds-Ds) e Articolo 1, fanno parte di un percorso in cui ci fu il tentativo, non andato in porto, soprattutto con i Ds, di trasformarsi in socialisti. Senza però mai non dico pentimenti ma almeno adeguate riflessioni di ordine culturale e politico sulla fine dell’unica vera forza riformista, anti-comunista della sinistra moderna. Pensa che certe vicende possano attecchire meglio nei vuoti di assenza politica e in certi trasformismi in cui si bypassa la storia?

Trent’anni fa, gli eredi del Pci cavalcarono Mani pulite, si misero agli ordini di una “falsa rivoluzione” per ottenere protezione, per convenienza e per viltà. Così facendo scelsero di non fare i conti con la propria storia, sposarono in maniera strumentale il giustizialismo, anzi lo utilizzarono come clava per colpire i socialisti – e non solo – che avevano vinto sul piano dell’elaborazione politica, programmatica, ideale, consentendo al Paese di percorrere fino in fondo il sentiero della modernità, del progresso e del benessere.

I post-comunisti fallirono nel compito più importante, ovvero ridefinire i propri connotati organizzativi e ideali, rispedirono al mittente gli inviti all’Unità socialista, dicendo che si trattava, cosa non vera, di un tentativo di annessione ai loro danni. In verità avevano scelto la via giudiziaria al potere…

Ma qual era il disegno di Craxi verso il PCI?

Craxi ebbe rispetto e considerazione per il travagliato processo che investì Botteghe Oscure dopo il crollo del muro di Berlino, sostenne i tentativi di Occhetto e del suo gruppo dirigente, aprì loro le porte dell’Internazionale Socialista, ma fu ripagato con la moneta del tradimento. Anzi, con le monetine! Questo credo sia forse l’errore più grande commesso dal leader socialista, aver peccato di eccessivo ottimismo, forse di eccessiva ingenuità nel pensare all’ineluttabilità dei processi della storia. I “ragazzi di Berlinguer” pensavano che sarebbe bastato cancellare il PSI per prenderne il posto, diventando così la “sinistra giusta” per citare uno di loro. Ritennero che fosse possibile indossare il vestito del socialismo riformista, ma non avevano né il fisico né il portamento giusto per farlo.

La Storia non ammette scorciatoie e, recuperando lo slogan di una vecchia discussione sulla evoluzione dei post-comunisti nostrani, possiamo oggi dire senza smentita che non solo da “cosa non nasce cosa” ma che nulla di buono può venire da “compromessi storici” in formato bonsai, peraltro privi della veste ideale di un tempo. La verità è che questa pseudo-sinistra è inseguita dal fantasma di Craxi e devo dire che ci regala spettacoli assai divertenti…

Si rispolvera in questi giorni la famosa “questione morale” di berlingueriana memoria, ma, come lei ha ricordato in un’intervista a “La Verità”, quel Pci prendeva finanziamenti da Stati nemici dell’Occidente. E lo storico-politologo Giovanni Orsina ha detto che la “questione morale” non è mai esistita, è stato un modo per il PCI per superare il marxismo. Ora la si agita di nuovo per un garantismo. Doppiopesista?

Che negli anni della prima Repubblica, nella vicenda del finanziamento ai partiti, ci fossero situazioni all’ombra delle quali prosperavano fenomeni odiosi di malcostume e di immoralità è un dato storico assodato, che lo stesso Craxi certificò nei suoi interventi in Parlamento, scontrandosi col silenzio assordante dell’intera Assemblea alla quale domandò un’assunzione di responsabilità per dare una soluzione politica alla crisi della Repubblica. Una crisi che Craxi non nascondeva, tant’è vero che si adoperò sempre per una democrazia compiuta, dell’alternanza, anche immaginando un percorso di “Grande riforma” osteggiato dai rivoluzionari borghesi, da salotto, incapaci di leggere la società che li circondava, che si attardavano su formule bizantine, pensiamo all’eurocomunismo, e continuavano a spalleggiare l’URSS come nella vicenda degli euromissili: altro che stare più sicuri sotto l’ombrello della NATO! Ѐ in questo contesto che si inserisce l’intervista ipocrita di Berlinguer.

In che senso, ci spieghi meglio…

La “questione morale” di berlingueriana memoria fu in realtà il tentativo di coprire un vuoto di elaborazione politica e programmatica, un modo per provare a sottrarsi all’isolamento dei primi anni Ottanta, cui il PCI fu trascinato dalle scelte anti-modernizzanti del suo leader e che i suoi stessi figliocci, nei vari libri che hanno scritto nel corso di questi decenni, non nascondono. Che poi ad ergersi a moralizzatori fossero coloro che riempivano i serbatoi del finanziamento partitico ricorrendo alle “donazioni” – anch’esse storicamente certificate – di una potenza militare avversaria, è un’altra delle grandi anomalie che ha caratterizzato la storia repubblicana.

Quella vicenda, come tanta altra parte del finanziamento illegale, fu oggetto di amnistie, votate anche dai comunisti che poi si sono eretti a ruolo di vergini. Per questo, innanzi a situazioni come il Qatargate, oltre a porre riflessioni di sistema e politiche – come detto – chiedo a lor Signori di evitarci quanto meno le dichiarazioni ipocrite e stantie di garantismo o di giustizialismo di ritorno. Un bel tacer non fu mai detto…

Il Pd reagisce dando colpa sempre agli altri. Da un opposto all’altro. Alcuni come da Articolo 1 addirittura dicono: no al garantismo per Panzeri. C’è poi un opinionismo in cui quando è in ballo la sinistra il garantismo sembra trasformarsi in “garantismo superiore”. Per gli avversari politici, da Berlusconi in passato e ora anche per Salvini gogna, tranne deboli eccezioni, su presunti finanziamenti russi mai trovati. Come giudica questa vistosa doppiezza?

Io li ho definiti “garantisti dei miei stivali”. Un filo di continuità lega le vicende della sinistra di derivazione comunista dagli anni della “prima Repubblica” ad oggi, ed è sintetizzabile nella pretesa, più volte sconfessata, di incarnare una superiorità morale e una diversità antropologica rispetto agli avversari.

Abbiamo dovuto attendere qualche tempo, ma alla fine gli italiani hanno clamorosamente posto il sigillo alla presunzione di purezza di matrice comunista. E, così, sarà nei prossimi anni anche per i nuovi masanielli che oggi li sfidano sul terreno del giustizialismo duro e puro, dell’assistenzialismo improduttivo, dell’irresponsabilità sociale e che per incapacità e debolezza i vertici del PD stanno assecondando, decretando così la loro subalternità prima ed estinzione poi. Hanno creato i mostri e ora ne sono vittime… questa sì che è la nemesi!

La commissione Esteri e Difesa del Senato, da lei presieduta, intanto, dopo l’approvazione del Dl Aiuti militari all’Ucraina, le ha dato mandato a conferire in aula. Che previsioni fa?

In Commissione abbiamo dato il via libera al decreto votandolo a larga maggioranza. L’Ucraina va sostenuta nella sua lotta per la libertà, va messa nelle condizioni di potersi continuare a difendere dal dominio e dalla sopraffazione di Mosca. Solo così verranno irrobustiti gli argini di un percorso che, lo speriamo tutti, conduca al cessate il fuoco propedeutico alla definizione di una pace “giusta” che solo il popolo ucraino, sulle cui spalle ricadono tutte le sofferenze e i drammi della guerra, potrà scegliere e determinare.

Al momento, ma spero di sbagliarmi, non vedo purtroppo spiragli che inducano all’ottimismo, ma dobbiamo con tutte le nostre forze continuare a parlare di pace e moltiplicare le energie per aprire un tavolo di confronto. A quel tavolo, però, occorre che le parti possano sedere in condizioni di uguale forza e dignità. Ecco perché non dobbiamo lasciare sola Kiev. Se lo avessimo fatto, se avessimo ceduto alle sirene di chi diceva che così avremmo solo prolungato di qualche mese un conflitto dall’esito scontato, oggi non esisterebbe più l’Ucraina.

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