Skip to content

russia

Vi racconto l’ultima putinata del democratico Putin…

Putin ha contestato le credenziali democratiche di Zelensky per una trattativa di pace. Senza arrossire di vergogna. O quanto meno di imbarazzo. I Graffi di Damato.

 

Sfrontato nelle sue provocazioni, Putin, diversamente dai titoli dei giornali italiani, si è dichiarato disposto a trattare la pace in Ucraina anche con l’odiato presidente Zelensky. Che lui si era proposto di fare uccidere o comunque deporre con la cosiddetta operazione speciale disposta nel 2022 non mettendo nel conto né la resistenza degli ucraini né gli aiuti degli occidentali. Ma Zelensky per trattare con Mosca dovrebbe avere una legittimazione di cui sarebbe sprovvisto per la scadenza del mandato, al cui rinnovo non si può procedere per le elezioni impedite dalla legge marziale provocata dalla guerra cominciata proprio da Putin. Che così si morde la coda come un cane. O si incatena alle sue stesse provocazioni.

Basterebbe che il capo del Cremlino ordinasse la cessazione del fuoco e facesse tornare la normalità nell’Ucraina da lui devastata per consentire a Zelensky di far cessare il fuoco anche lui, con tutte le dovute garanzie internazionali, e restituire alla popolazione anche la normalità delle elezioni.

O no? Che ne direbbe Donald Trump prima o dopo essersi insediato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato? Ma soprattutto che cosa direbbero gli italiani, intesi come cittadini e come collettività, sulle cui simpatie Putin ha detto di contare ancora, pur dopo la morte di Silvio Berlusconi da lui evocato – gli va riconosciuto – non a torto perché in effetti il suo amico non nascose una certa comprensione per la già ricordata “operazione speciale” russa in Ucraina. Ed era stato a suo tempo fra i primi ad occorrere in Crimea per festeggiarne la conquista, o riconquista, da parte di Putin.

L’erede politico di Berlusconi nella sua Forza Italia è notoriamente il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Che coerentemente con la buonanima non si lascia scappare occasione per precisare che, pur partecipando al fronte occidentale di sostegno politico, finanziario e militare all’Ucraina, “non si sente in guerra” contro la Russia. Come non si sente neppure l’altro vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, leader della Lega. Ma l’erede politico di Berlusconi a Palazzo Chigi, alla guida della coalizione di centrodestra, è Giorgia Meloni. Che sulla questione ucraina ha sensibilità e posizioni, credo, meno o per niente apprezzate da Putin. E da quanti in Italia, tra le opposizioni, accusano – come Giuseppe Conte e la sinistra radicale – il Pd della Schlein di condividere e praticare la durezza della Meloni nel sostegno a Zelensky, al pari della durezza del Pd di Enrico Letta.

È una matassa, come si vede, alquanto aggrovigliata, anche sotto il profilo politico interno in Italia. Ma di un groviglio sempre minore di quello in cui si è messo Putin contestando le credenziali di Zelensky per una trattativa di pace. E non arrossendo di vergogna, o quanto meno di imbarazzo.

Torna su