A Bisceglie, la città celebre anche per uno dei maggiori manicomi italiani del secolo scorso, fondatovi da don Pasquale Uva, si è conclusa con una certa follia, ma senza il metodo attribuito ad Amleto, la saga del candidato del Pd alla presidenza della regione pugliese. Ha accettato di esserlo l’ex sindaco di Bari Antonio Decaro, eletto l’anno scorso al Parlamento europeo con quasi cinquecentomila voti di preferenza: voti veri, non finti. Raccolti uno per uno nella circoscrizione meridionale d’Italia, non acquisiti d’ufficio, diciamo così, in quanto capolista per il Nazareno.
L’aspetto buffo, se non lo vogliamo chiamare folle, dell’annuncio dato a Bisceglie in tandem con la segretaria del partito Elly Schlein, nella cornice della locale festa dell’Unità che non è però il giornale diretto da Piero Sansonetti e riportato nelle edicole dall’editore napoletano Alfredo Romeo ma quello vecchio e fallito del Pci; l’aspetto buffo, ripeto, dell’annuncio sta nel fatto che Decaro dovrà guardarsi da entrambi i suoi illustri predecessori. Da Nichi Vendola, il leader della sinistra radicale, nel Consiglio regionale e dal compagno di partito Michele Emiliano ovunque questi deciderà alla fine di agire: nello stesso Consiglio, dove è tornato per un po’ anche ieri a minacciare di candidarsi per non essere “il fesso” della partita rispetto a Vendola, o altrove. Decaro dovrà guardarsene anche a costo di “menare”, come se fossero degli avversari e non soci di coalizione, maggioranza e quant’altro. Menare -ha detto- come un suo vecchio amico lo incitò e gli insegnò dagli esordi della sua lunga carriera politica.
Dei due scomodi compagni di coalizione e partito non so francamente quale potrà rivelarsi più insidioso. Se Emiliano, ingombrante già nel fisico e nella parte che si attribuisce di padre politico del suo successore, o lo stesso Vendola. Che si si è un po’ tenuto da parte negli ultimi tempi non per mettersi anticipatamente in pensione, ma per ricaricare ben bene le proprie batterie, orgoglioso anche della sua genitorialità omosessuale.
Il sollievo di Elly Schlein nella epifania fuori stagione della candidatura di Decaro è duplice. Essa ha salvato quel campo largo cui così testardamente lavora, esteso da Giuseppe Conte a Matteo Renzi, nella prospettiva di un’alternativa nazionale al centrodestra in buona salute di Giorgia Meloni, apprezzata anche all’estero per la sua stabilità E ha inchiodato alla fine Decaro ad un percorso che potrebbe renderlo meno competitivo, quando verrà il momento di un congresso, ordinario o anticipato, per la carica di segretario del partito, al suo posto.