Dalla scorsa primavera il premier britannico Boris Johnson ha dimostrato un insospettabile amore per il football. Lui etoniano e oxfordiano, più addentro alle vicende del cricket e del croquet, è stato il paladino dei tifosi quando ha fatto fallire il progetto di Super Lega Europea spingendo le 6 squadre inglesi che vi avevano aderito a lasciar perdere. A luglio ha cercato di cavalcare l’ondata nazional-popolare inglese durante Euro2020, risultando spesso fotografato allo stadio con la maglia dei Tre Leoni. Purtroppo per lui – e per gli inglesi – alla fine a Wembley ci sono state lacrime di tristezza e non di gioia, con l’aggravante di una gestione dell’ordine pubblico finita sotto la lente di ingrandimento dell’Uefa e della Camera dei Comuni: un colpo che potrebbe far deragliare la candidatura di Londra – congiuntamente con Dublino – per i mondiali del 2030.
Finita la pur breve sbornia per le squadre nazionali, è già tempo di tornare in campo: lo scorso week-end è partito il Championship – la serie b inglese – mentre venerdì sera con l’anticipo tra Brentford e Arsenal inizierà il campionato più ricco e televisivo del mondo: la Premier League. Il Chelsea e le due di Manchester non saranno riuscite a portare l’industria Messi in Inghilterra, ma le cifre della campagna trasferimenti sono pur sempre ragguardevoli. Il nazionale inglese Grealish è passato dall’Aston Villa al Manchester City per 100 milioni di sterline; Romelu Lukaku si appresta a lasciare l’Italia per tornare al Chelsea per 115 milioni, mentre altri due nazionali, Jadon Sancho e Ben White, si sono trasferiti rispettivamente al Manchester United e all’Arsenal per 80 e 50 milioni di pounds. Soldi che lasciano interdetti, specie quando in Italia stiamo assistendo a maldestri tentativi di acquistare giocatori in prestito con diritto di riscatto o altre formule da Azzeccagarbugli.
Ma se le big spendono e spandono, anche più sotto non si scherza: il Brentford ha acquistato il nazionale nigeriano Onyeka dai danesi del Mydtjilland per 10 milioni; l’Aston Villa Danny Ings dal Southampton per 25, mentre gli stessi Saints hanno sostituito Ings con Adam Armstrong, bomber del Blackburn in Championship, per una somma vicina ai 20 milioni. Un altro mondo.
Ma è fuori dal campo che la Premier League crea le condizioni per avere ricavi imponenti, che spesso si traducono in un dominio nelle coppe europee (due delle ultime 3 finali di Champions si sono disputate tra 4 squadre inglesi diverse): il titolo della stagione 2021 è valso al City quasi 160 milioni di sterline e allo United secondo classificato poco meno.
Persino l’ultima squadra della graduatoria, il retrocesso Sheffield United, ha incassato 91 milioni, circa 4 volte in più dell’Inter campione d’Italia. La pandemia ha costretto tutte le squadre a chiedere prestiti agli istituti di credito e a compiere dolorose scelte con tagli agli staff e alle rose, ma la competitività è sempre rimasta alta. Ancor di più se si pensa che nel week-end gli stadi saranno aperti con capienza al 100% per vaccinati e possessori di un tampone con esito negativo al Covid, mentre negli stand saranno presenti dei punti dove gli spettatori saranno controllati a campione dalle autorità.
Le ultime due stagioni hanno visto un brusco ridimensionamento dei ricavi legati alle partite allo stadio, passati da 763 milioni di euro della stagione 2018-2019 – l’ultima pre-Covid – a 391, ma, allo stesso tempo abbiamo assistito all’esplosione di quelli legati al broadcasting, passati da 2,457 della stagione 2019-2020 a 4,133 di quella passata: quasi il doppio. Con la pandemia il calcio è stato, per necessità, uno spettacolo televisivo, che, come in Italia, non si è potuto fermare per ragioni economiche e sociali.
E poi c’è l’aspetto politico. Anche nella stagione 2021-2022 la Premier League ha confermato che i giocatori si inginocchieranno per sensibilizzare contro la lotta alla discriminazione razziale portata avanti da Black Lives Matter. Non tutti sono d’accordo. Molti campioni di colore che hanno fatto la storia del calcio inglese come John Barnes hanno definito ormai “inutile” il “take the knee”, e una aspra polemica si è avuta dopo la finale degli europei e i relativi abusi online contro i 3 giocatori che hanno sbagliato i rigori decisivi contro l’Italia. In quell’occasione Tyrone Mings, difensore della nazionale e dell’Aston Villa, se la prese con il governo e con il ministro dell’Interno Priti Patel per non avere appoggiato in modo più chiaro e trasparente la campagna antirazzista. Così come Mings, anche l’ex capitano del Manchester United, Gary Neville, ha accusato Johnson e il suo Cabinet di scarsa sensibilità sul tema. Neville è pubblicamente simpatizzante del partito Laburista e i Conservatori lo hanno duramente attaccato per avere politicizzato i commenti del post-partita. Il football sta finalmente tornando a casa, quindi. Solo che la casa non è quella dei Tre Leoni ma dell’unico leoncino, simbolo del campionato più ricco e politicizzato del mondo.